(DIRE) Roma, 3 nov. - Una situazione in evoluzione da un punto di vista clinico e terapeutico, grazie alla presenza dei presidi della Rete nazionale Malattie Rare, ma si conferma critico l'aspetto di presa in carico del malato raro sul territorio. Il Piano nazionale Malattie Rare, invece, è riuscito ad innescare un meccanismo di riorganizzazione, anche se procede a velocità diverse e da punti di partenza decisamente differenti. È quanto emerge dal II Rapporto sui modelli organizzativi delle reti di assistenza ai Malati Rari, curato da Federsanità Anci, Crea Sanità e Gruppo Recordati e presentato oggi a Roma presso la sala Zuccari del Senato.
"In Italia le persone affette da malattia rara sono circa due milioni- ha detto Angelino Lino Del Favero, presidente di Federsanità Anci- è più del 70% sono bambini. Questi dati testimoniano quanto le malattie rare non siano un fenomeno marginale del Paese, ma anzi costituiscono una delle sfide più importanti da affrontare prima di tutto attraverso la condivisione delle conoscenze. L'assistenza ai malati rari richiede, infatti, una serie molto complessa e articolata di interventi che coinvolgono l'organizzazione, la programmazione e il finanziamento dell'intero Servizio sanitario Nazionale. Le difficoltà che i malati rari incontrano, per vedere realmente soddisfatti i loro bisogni di presa in carico, dipendono in parte dalla complessità delle azioni e degli interventi richiesti dalle specifiche tipologie e in parte dalla obiettiva diversità dei servizi sanitari regionali, soprattutto sotto il profilo della qualità".
La ricerca, condotta con il coordinamento scientifico del professor Federico Spandonaro di Crea Sanità di Tor Vegata, si è concentrata sullo studio dello stato di attivazione del 'Piano Nazionale Malattie Rare 2013-2016', con l'obiettivo di avviare un monitoraggio di alcune azioni previste dallo stesso all'interno delle aziende sanitarie. Quest'anno, in particolare, sono state analizzate alcune esperienze di aziende sanitarie localizzate in Lombardia, Puglia, Toscana e Sardegna, rilevando la prospettiva dei pazienti mediante le associazioni che li rappresentano.
"Dalla rilevazione- ha spiegato Spandonaro- emergono tre modelli organizzativi con proprie caratteristiche distintive. Inevitabile conseguenza, questa, delle logiche federaliste a cui si ispira il Servizio sanitario nazionale e in ossequio alle quali il Piano nazionale Malattie Rare si ferma alle indicazioni generali, lasciando così ampio spazio implementativo alle Regioni".
Il primo modello, identificabile con la Asl di Brescia, prevede nello specifico un canale preferenziale per il malato raro nella struttura delle risposte assistenziali. Ne è riprova la costituzione di un Centro territoriale per le Malattie Rare dedicato, che secondo il Rapporto rappresenta "un riferimento unico per pazienti e famiglie, svolgendo anche un ruolo di coordinamento locale per gli operatori socio sanitari". Il secondo modello, che caratterizza invece l'esperienza della Ausl 8 di Arezzo, prevede la non separazione dei percorsi assistenziali tra malati cronici affetti da patologia 'non rara' e malati rari. "L'approccio- spiegano gli esperti- si basa sull'assunto che un sistema efficace ed efficiente di risposta alla cronicità sia un riscontro di per sé adeguato alle problematiche dei malati rari, non necessitando di particolari adattamenti o differenziazione dei percorsi".
Il terzo modello organizzativo, infine, è quello che prevede un'attivazione di risposte specifiche, gestite tanto a livello regionale che aziendale. A questo possono essere assegnate sia la Asl di Taranto sia quella di Cagliari. "I modelli riportati- spiega ancora il professor Spandonaro- risultano coerenti con i modelli organizzativi in cui le realtà analizzate si situano. Il primo è coerente con il modello lombardo, che prevede una chiara separazione fra ruoli di produzione e committenza. Il secondo si lega all'adozione, generalizzata in Toscana, dell'approccio del cosiddetto 'Chronic Care Model'. Il terzo, riscontrato nelle due Regioni del sud analizzate, ancora in una fase di sviluppo embrionale del modello di risposta per le malattie rare, è invece un modello misto, con una forte presenza di 'corpi intermedi', che regolano i rapporti fra produttori e committenti".
Data la complessità della materia e le diverse specificità dei servizi sanitari regionali, secondo il Rapporto di Federsanità Anci "individuare un modello organizzativo ottimale di presa in carico risulta essere obiettivo troppo ambizioso, ma non si può prescindere dall'individuazione ed introduzione di indicatori specifici, condivisi con tutti gli stakeholder del sistema (clinici ospedalieri, clinici territoriali, care giver, pazienti) che, grazie ad un apposito sistema di rilevazione- hanno concluso- consentano di monitorare l'efficacia nel tempo dei diversi modelli in essere".
(Wel/ Dire)