Roma, 24 mar. - Articolo tratto da 'Redattore sociale'. A dodici mesi dallo scoppio dell'epidemia che in Africa occidentale ha causato oltre 9 mila morti e oltre 23 mila contagi, Oxfam fa un bilancio sull'emergenza. Ma l'obiettivo principale, ossia l'azzeramento dei casi di ebola, non sara' facile da raggiungere se oltre ad un efficace trattamento della malattia a livello medico, governi ed associazioni umanitarie non daranno un peso maggiore al coinvolgimento delle comunita', coordinando gli interventi necessari a livello dei singoli distretti e province. Dallo scoppio dell'epidemia di ebola in Africa occidentale, un approccio quasi esclusivamente sanitario ha ostacolato i progressi che avrebbero permesso di prevenire prima e meglio l'estensione del contagio tra la popolazione. Secondo Oxfam infatti governi e altri enti internazionali, inclusa la stessa organizzazione umanitaria, hanno avuto un approccio sbagliato nelle prime fasi di risposta all'epidemia, mentre avrebbero dovuto impegnarsi di piu' nel coinvolgere da subito la popolazione sulle misure di prevenzione. Ad un anno dall'inizio dell'epidemia, sempre secondo Oxfam "appare evidente come mettere a disposizione piu' letti, piu' personale medico o piu' medicine nelle zone colpite da ebola, per quanto necessario, non si sia dimostrato sufficiente a fermare l'epidemia, che ad oggi ha causato oltre 9.600 decessi e oltre 23.700 persone contagiate.
Numeri atroci che oggi potrebbero essere diversi se trattamento e prevenzione della malattia, ugualmente necessarie, fossero procedute di pari passo allo scoppio dei primi casi di ebola, 12 mesi fa".
"Siamo ancora lontani dall'obiettivo per cui tutti stiamo lavorando, ossia l'azzeramento del numero delle persone contagiate, - afferma Sue Turrell, responsabile della risposta umanitaria dell'associazione per l'emergenza ebola - ma la direzione che abbiamo imboccato e' comunque positiva e di certo non possiamo permetterci di togliere il piede dall'acceleratore proprio adesso. Un risultato che non sarebbe stato possibile raggiungere, senza il grande coraggio del personale medico che ha affrontato e sta affrontando l'epidemia. Ma il lavoro che e' stato fatto assieme alle persone a rischio di contagio e' stato ugualmente cruciale. Se ci fosse stato un impegno piu' tempestivo nel coinvolgere la popolazione probabilmente moltissime vite non sarebbero andate perdute".
"Tuttavia, considerata la novita' di questa crisi, non c'e' da sorprendersi nel vedere che, le associazioni coinvolte nella risposta all'emergenza, abbiano compreso tutto cio' solo strada facendo. - aggiunge la responsabile dell'ufficio Africa di Oxfam Italia, Silvia Testi - Come associazione abbiamo fatto fatica, allo scoppio della crisi, a trovare un equilibrio tra le necessita' di proteggere il nostro staff al lavoro sull'emergenza e la necessita' di aiutare la popolazione colpita: abbiamo dovuto adattarci rapidamente per cercare di fare la differenza per la gente. Nei Paesi colpiti l'inferno dell'ebola ha cambiato tutto, stravolgendo gli aspetti piu' intimi e privati della vita di tutti i giorni: i rapporti e le relazioni che le persone hanno con familiari, vicini, partner, defunti e il proprio corpo. Per convincere le persone a cambiare alla radice le proprie abitudini e a comprendere il rischio che la malattia porta con se, un approccio inclusivo che tenga conto delle emozioni e della percezione reale che la gente ha dell'epidemia e' stato quindi di vitale importanza".
Adesso la necessita' di un coinvolgimento delle comunita' colpite e' stata riconosciuta dai governi e dalle organizzazioni umanitarie come una componente essenziale nella risposta all'ebola. "Senza il coinvolgimento della popolazione, e' infatti estremamente difficile realizzare le operazioni essenziali per contrastare la diffusione dell'epidemia, dal trattamento della malattia, al predisporre sepolture che rispettino criteri di sicurezza, al tracciare la diffusione del contagio. In uno studio realizzato a fine 2014, Oxfam ha infatti evidenziato come una percezione negativa e la paura tra la gente, rispetto alle operazioni di risposta all'epidemia, abbiamo contribuito a complicare a rendere inefficace il lavoro di contrasto all'ebola in alcune aree. Interviste e l'osservazione diretta tra la gente, ad esempio, hanno rilevato che per la popolazione della Liberia, uno dei tre paesi piu' colpiti, le prime misure d'intervento messe in campo nella risposta all'Ebola hanno generato sfiducia nei confronti del lavoro delle agenzie governative e un timore diffuso verso le misure mediche messe in campo, con il conseguente ricorso a forme di auto-trattamento della malattia".
Ma la fine dell'epidemia di ebola non e' il solo obiettivo da raggiungere nei Paesi colpiti. Le strutture sanitarie predisposte per rispondere all'emergenza, nel prossimo futuro potranno servire ad affrontare altri gravi problemi sanitari e sociali che colpiscono la popolazione: dal colera, alla malaria, al fenomeno delle mutilazioni genitali femminili. (www.redattoresociale.it) (Com/Dire)