(DIRE) Roma, 25 giu. - In Italia sono stimati circa 120mila casi di epilessia farmaco-resistente e per curarli negli ultimi anni si sono sviluppate nuove modalita' di trattamento che hanno permesso in molti casi di estendere l'indicazione chirurgica anche a forme di epilessia non trattabili con tecniche resettive. "Nonostante la continua comparsa sul mercato di nuovi farmaci antiepilettici- commenta Andrea Landi, responsabile della Sezione Nch Funzionale di radiochirurgia della Societa' italiana di neurochirurgia- la percentuale delle forme definite farmaco-resistenti e' attestata sul 30% (in difetto) del totale delle epilessie (120mila casi stimati in Italia). Il gold standard della terapia chirurgica dell'epilessia rimane la resezione del focolaio epilettogeno, preceduta da un adeguato studio di imaging, elettrofisiologico e cognitivo".
L'obiettivo di questo modus operandi, dunque, e' la risoluzione dell'epilessia (e quindi anche l'abolizione dei farmaci). "Non sempre, pero'- spiega Landi- ricorre la possibilita' di questo tipo di trattamento: per esempio in caso di focolai epilettici multipli, o di difficolta' a definire la sede d'insorgenza delle crisi, o in forme complesse associate a malformazioni cerebrali. In questi casi sono utili tecniche alternative: interventi di disconnessione delle aree cerebrali epilettogene (callosotomia, emisferotomia, transezioni subpiali); interventi di neurostimolazione (Vns e Dbs); neurostimolazione di superficie (transcutanea corticale - Tms; o vagale transcutanea T-Vns); trattamenti radiochirurgici; trattamenti con la recentissima Mrgfus, che sta per 'ultrasuoni focalizzati mediante risonanza magnetica', che agiscono mediante riscaldamento e quindi distruzione e/o inattivazione tessutale".
Ma quando e' meglio mettere in atto la chirurgia classica o la cyberknife? E quando la radiochirurgia? "Il cyberknife, evoluzione robotizzata della radiochirurgia- risponde l'esperto- puo' essere un'alternativa alla chirurgia resettiva per il trattamento di piccole lesioni epilettogene in sedi profonde (per esempio nel lobo temporale); oppure in caso di 'lesione' di strutture cerebrali implicate nella genesi e/o nella diffusione della scarica epilettica; ancora, in caso di focolai epilettogeni ben definiti ma di difficile o rischioso accesso chirurgico (per es perche' contigui ad aree nobili); infine per il trattamento di malformazioni vascolari che possono essere epilettogene (in questo caso pero' non parlerei di 'chirurgia dell'epilessia', ma di trattamento della patologia di base, ancorche' epilettogena)".
Secondo Landi, nell'ambito di queste possibilita', l'opzione radiochirurgica "va presa in considerazione in tutti quei casi che per motivi clinici o di scelta del paziente non sono eligibili alla chirurgia diretta. Va pero' tenuto in considerazione che l'efficacia della radiochirurgia non e' immediata ma si esplica nel corso di mesi". Quanto alla neurostimolazione, questa e' necessaria "in tutte quelle forme di epilessia resistente ai farmaci, ma che non presenta possibilita' di trattamento resettivo. Epilessie con focolai multipli, focolai mal definibili, focolai in aree corticali nobili, malformazioni cerebrali complesse, forme genetiche, forme metaboliche. Inoltre, in tutti quei pazienti che non possono essere sottoposti a un intervento di Nch maggiore, considerando che le tecniche di neurostimolazione- conclude- sono moderatamente invasive, gravate da modesta morbilita' e teoricamente reversibili".
(Comunicati/Dire)