(DIRE) Roma, 24 giu. - Con 36mila nuove diagnosi l'anno, il tumore della prostata rappresenta il 20% di tutti quelli diagnosticati nell'uomo a partire dai 50 anni di eta', con un incidenza maggiore soprattutto tra gli over 60. Ma 9 uomini su 10, oggi, superano la malattia. Dal 1995, infatti, la sopravvivenza globale e' sensibilmente migliorata grazie a una diagnosi precoce e mirata e ai nuovi trattamenti combinati (farmaci, chirurgia, radioterapia) sempre piu' efficaci e meno invasivi, che consentono di cronicizzare la malattia senza alterare la qualita' di vita dei pazienti. "Un successo importante- affermano Giario Conti, presidente uscente e Riccardo Valdagni, presidente eletto della Societa' italiana di urologia oncologica (SIUrO)- determinato da numerosi fattori".
Il carcinoma prostatico, proseguono Valdagni e Conti, e' spesso presente "in forma indolente (circa il 30-40% dei pazienti), caratterizzata da una crescita che puo' essere molto lenta e non in grado di provocare disturbi e ancor meno di causare la morte dei pazienti. In questi casi- spiegano- e' possibile adottare una strategia osservazionale come la sorveglianza attiva, tenendo sotto stretto controllo nel tempo il comportamento e l'evoluzione del tumore, riservando il trattamento (chirurgico, radioterapico, farmacologico) solo ai pazienti che ne abbiano bisogno e quando ne abbiano bisogno. Il paziente viene quindi sottoposto a controlli periodici e programmati del Psa (ogni tre mesi), a viste cliniche con esplorazione rettale (ogni sei mesi), a biopsie di riclassificazione (dopo uno, quattro, sette e dieci anni dalla diagnosi)".
Esami aggiuntivi, poi, vengono proposti sulla base di eventuali segnali che provengono da questi controlli. "In questo modo- aggiungono ancora gli esperti- possiamo osservare il cancro e preservare la qualita' di vita della persona malata, che i trattamenti attivi (soprattutto chirurgia e radioterapia) possono minare. Sul versante opposto, quello dei pazienti affetti da carcinoma in fase avanzata, metastatico e resistente alla castrazione uno dei fattori piu' importanti e' rappresentato dalla aumentata disponibilita' di nuovi farmaci in grado di migliorare significativamente la sopravvivenza dei pazienti, che affiancano quelli chemioterapici (docetaxel e cabazitaxel). In particolare sono disponibili oggi, sia per pazienti che abbiano gia' avuto un trattamento chemioterapico con docetaxel sia per pazienti che non abbiano fatto tale chemioterapia due farmaci 'ormonali'".
Il primo, fanno sapere ancora, e' l'abiraterone acetato, in grado di inibire gli ormoni in ogni sede di produzione; il secondo e' l'enzalutamide, che agisce invece bloccando i recettori cui il testosterone aderisce per essere trasportato all'interno della cellula, fino al nucleo e al Dna, impedendo quindi la 'messa in moto' del motore della crescita tumorale. Gli studi clinici, eseguiti utilizzando questi farmaci sia dopo la chemioterapia sia prima hanno dimostrato risultati positivi in termini di prolungamento della sopravvivenza e di miglioramento della qualita' della vita, riducendo sensibilmente il rischio di progressione nei malati con tumore metastatico resistente alla castrazione, con effetti collaterali complessivamente modesti e ben controllabili, anche in pazienti 'difficili' perche' affetti da altre patologie (come il diabete) o molto anziani, come si conferma dai lavori presentati al nostro XXV Congresso Nazionale SIUrO, che si chiude oggi a Roma".
Proseguono Conti e Valdagni: "Il tumore alla prostata e' molto sensibile agli ormoni androgeni, che giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo delle cellule tumorali e dunque favoriscono la progressione della malattia. Un altro farmaco, con meccanismo d'azione completamente diverso, e' il Radium 223. È un 'radiofarmaco' capace di incorporarsi nell'osso, nella sede delle metastasi scheletriche, e di liberare un'energia molto intensa e poco penetrante (radiazioni alfa) capace di uccidere le cellule tumorali riducendo al minimo gli effetti collaterali sui tessuti sani, in particolare sul midollo osseo. Anche il Radium 223 si e' dimostrato capace di prolungare la sopravvivenza dei malati affetti da carcinoma della prostata con metastasi scheletriche e sintomi dolorosi; analogamente agli altri farmaci sopra menzionati, e' possibile ridurre sensibilmente il rischio di eventi scheletrici (come le fratture patologiche) preservando quindi piu' a lungo la qualita' della vita dei pazienti".
Secondo i due esperti, se consideriamo poi la possibilita' di utilizzare in maniera differente la chemioterapia in pazienti con tumori a rischio molto alto di progressione, e' possibile "disegnare uno scenario di possibilita' terapeutiche completamente differente da quello in cui ci siamo mossi, noi e i pazienti, fino a pochi anni fa. L'aspettativa di vita dei malati si e' praticamente quintuplicata nell'arco di pochissimi anni.
Oggi la sfida e' capire quando e come utilizzare queste armi terapeutiche, in quali malati, con quale sequenza. L'unica strada percorribile per raggiungere questo traguardo e' l'approccio multidisciplinare; competenze diverse e complementari che concorrono insieme all'obiettivo comune, offrire piu' vita e piu' speranza ai propri pazienti".
La neoplasia prostatica, pero', e' sensibile "ad altri fattori 'esterni': il consumo di tabacco puo' essere responsabile della malattia cosi' come l'alimentazione e gli stili di vita. È una patologia subdola che, spesso, non presenta sintomi fino allo stadio avanzato. La prevenzione allora e' fondamentale. Svolgere una regolare attivita' fisica, seguire un'alimentazione equilibrata e povera di grassi su modello della dieta mediterranea, abbandonare il vizio del fumo e l'abuso di alcol- concludono Valdagni e Conti- rappresentano la prima vera strategia di difesa contro i tumori a qualunque eta'".
(Cds/Dire)