(DIRE) Roma, 11 dic. - Oggi c'è una domanda crescente di salute, assistenza e previdenza per avere la sicurezza di un futuro lungo e in buone condizioni. A questa domanda risponde la 'White Economy', cioè la filiera delle attività sia pubbliche sia private riconducibili alla cura e al benessere delle persone, che ha ormai raggiunto un valore di 290 miliardi di euro, corrispondente al 9,4% della produzione complessiva nazionale. E sono 2,8 milioni gli addetti che operano in maniera diretta nei suoi diversi comparti, a cui vanno aggiunti i posti di lavoro che si generano come indotto delle attività considerate, che innalzano il numero degli addetti totali a 3,8 milioni, pari al 16,5% degli occupati del Paese. È quanto emerge dalla ricerca 'Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali', condotta dal Censis e realizzata con Unipol.
"In termini comparativi- fanno sapere gli esperti- la 'White Economy' produce più dei settori delle costruzioni e dei trasporti, ed è seconda solo al commercio. Il 42,2% del valore della produzione è attribuibile ai servizi sanitari, il 17,9% alle attività pubbliche di gestione e regolazione nei settori della sanità, assistenza e previdenza, il 17,7% all'industria del farmaco e delle attrezzature medicali, il 10,6% alla previdenza complementare e alle assicurazioni del ramo salute, il 10,4% alle attività di personal care, l'1,1% all'istruzione universitaria negli ambiti considerati. In questo campo- sottolineano- la produttività (cioè il valore aggiunto generato dalle attività comprese nella filiera rapportato al numero di persone che vi lavorano) è di 60mila euro per addetto: un dato che colloca la 'White Economy' sopra agricoltura, costruzioni, ristorazione, commercio e inferiore solo ad alcuni comparti del manifatturiero e del terziario avanzato".
La filiera economica della cura, dell'assistenza e della previdenza per le persone, intanto, è anche un formidabile volano di sviluppo per il Paese, perché genera rilevanti effetti moltiplicativi sul resto dell'economia. "Ogni 100 euro spesi o investiti nella 'White Economy'- fa sapere il Rapporto del Censis- attivano 158 euro di reddito aggiuntivo nel sistema economico. E ogni 100 nuove unità di lavoro nella 'White Economy' ne attivano ulteriori 133 nel complesso dell'economia italiana". I bisogni sono dunque crescenti, ma l'Italia è divisa in due nell'accesso alle prestazioni socio-sanitarie. "Nelle regioni del Mezzogiorno- prosegue l'indagine- l'82,8% della popolazione ritiene non adeguate le prestazioni offerte dal servizio regionale, mentre al nord-est e al nord-ovest la percentuale scende rispettivamente al 34,7% e al 29,7%".
Intanto, con l'allungamento della vita media continua a crescere la domanda di cure e di assistenza: "Nel 2030 saranno più di 4 milioni le persone in cattivo stato di salute. E i portatori di almeno due patologie croniche saranno più di 20 milioni". Negli anni della crisi, tra il 2007 e il 2014, la spesa sanitaria pubblica è invece "diminuita del 3,4% in termini reali e oggi sono meno del 20% gli italiani che affermano di trovare nel welfare pubblico una piena risposta ai loro bisogni. Più della metà delle famiglie di livello socio-economico basso è poi convinta che un eventuale aggravio dei costi per il welfare sarà incompatibile con i loro redditi disponibili". Quanto alla spesa sanitaria pubblica, in Italia, è pari "al 6,8% del Pil del Paese, un valore più basso di quello di Francia (8,6%), Germania (8,4%) e Regno Unito (7,3%). La spesa sanitaria privata, invece, ammonta al 2% del Pil, un valore inferiore alla media dei Paesi Ocse (2,4%) e al dato di tutti i Paesi europei più avanzati".
Il Rapporto del Censis sulla 'White Economy' fa sapere ancora che "la quota di spesa privata intermediata da soggetti economici specializzati, come le compagnie assicurative, è pari oggi al 18% del totale della spesa sanitaria privata. Anche prescindendo dal confronto con gli Stati Uniti, che hanno un modello di welfare molto diverso dal nostro (in questo caso sale al 77,7% la quota di spesa intermediata), il dato italiano è molto più contenuto di quello di Francia (67,1%), Germania (44,4%) e Regno Unito (43,6%), e testimonia il carattere 'molecolare' della spesa sanitaria privata italiana". Per l'assistenza, nel nostro Paese prevale il 'fai da te' con il ricorso alle badanti. "Sono più di 3 milioni- fa sapere l'indagine- le persone che soffrono di difficoltà funzionali gravi. Tra queste, 1,4 milioni sono confinate all'interno della propria abitazione e bisognose di cure diurne e notturne".
La spesa pubblica per l'assistenza è quindi in fase calante dal 2010, pure a fronte di una domanda crescente. "In valore pro-capite della spesa è pari a 400 euro l'anno, un dato inferiore alla media europea. Di fronte al ritardo nella progettazione di sistemi di long term care centrati su soluzioni diverse dall'ospedalizzazione e a causa delle difficoltà economiche che limitano il ricorso a soluzioni residenziali, gli italiani scelgono anche in questo caso un modello del tutto spontaneo e ad elevata molecolarità, basato sul reclutamento diretto delle badanti. Per il 65% degli italiani questa è una soluzione da valutare positivamente, l'11% ritiene che sia una scelta priva di alternative reali, il 24% invece valuta negativamente l'assenza di professionalità adeguate e certificate".
In merito alla previdenza, sottolineano gli esperti, quella complementare è indispensabile, ma pochi lo sanno. "Nell'ultimo decennio- emerge dal rapporto del Censis sulla 'White Economy'- il numero di adesioni alla previdenza complementare è più che raddoppiato, passando da poco meno di 3 milioni di iscritti nel 2005 agli attuali 6,5 milioni. Si segnalano però due criticità. La prima è legata alla crisi economica che ha fatto sì che nel 2014 1,5 milioni di iscritti non abbiano versato i contributi. La seconda è relativa invece alla disomogeneità delle adesioni: il tasso di adesione è del 18% al sud (sale al 30% al nord) e del 16% tra i più giovani, con una età inferiore a 35 anni (mentre il dato nazionale si attesta al 25,6%). Non aiuta il fatto che oggi solo il 24,3% degli italiani- conclude l'indagine- ha una conoscenza precisa della propria posizione pensionistica".
(Wel/ Dire)