Roma, 2 apr. - Non risponde di omissione di atti d'ufficio il medico che durante il servizio di guardia medica anziché recarsi di persona a visitare il paziente si limiti a prescrivere telefonicamente la terapia ritenuta appropriata al caso, essendo egli arbitro della scelta di effettuare o meno la visita domiciliare: questo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 10130/2015 che ha annullato, senza rinvio, quella di condanna emessa dalla Corte di Appello di Ancona.
La Sesta Sezione della Suprema Corte ha, infatti, accolto il ricorso presentato da un medico condannato in secondo grado di giudizio a sei mesi di reclusione e un anno di interdizione dai pubblici uffici per non aver effettuato la visita domiciliare richiesta dal paziente alla guardia medica e che aveva ritenuto inadeguata la sola terapia farmacologica prescritta per telefono.
La decisione della Cassazione attiene all'interpretazione della norma che impone al medico del servizio di guardia medica di compiere le visite domiciliari che gli sono richieste. Si tratta dell'art. 13, co. III, del D.P.R. 25 gennaio 1991, n. 41, in virtù del quale: "Durante il turno di guardia il medico è tenuto ad effettuare al più presto tutti gli interventi che gli siano richiesti direttamente dall'utente, oppure - ove esista - dalla centrale operativa, entro la fine del turno cui è preposto". Al contempo, secondo la pacifica e sostanzialmente costante interpretazione che ne ha dato la Corte di legittimità - ampiamente citata nel provvedimento in oggetto - il sanitario è titolare di un diritto-dovere di valutare la necessità, o meno, di effettuare la visita domiciliare richiesta dal paziente; tale valutazione può essere oggetto di sindacato da parte del giudice penale che, se la dovesse ritenere ingiustificata, dovrebbe giungere ad una pronuncia di condanna per il delitto di omissione di atti d'ufficio, trattandosi di atto dovuto, da compiersi senza ritardo, per ragioni di sanità. La Suprema Corte ha però chiarito, nelle motivazioni, che soltanto una perizia medico-legale (mai disposta né nel corso del giudizio sia di primo che di secondo grado di merito) "avrebbe comportato la possibilità di disporre di quell'elemento di valutazione aggiuntivo, integrato dalle indicazioni fornite da un esperto della professione medica, atto eventualmente a consentire un difforme apprezzamento rispetto a quello operato dal giudice di primo grado".
In qualità di pubblico ufficiale, il medico ha, infatti, uno spazio di discrezionalità scientifica nell'erogare la sua prestazione e, per stabilire se il reato di rifiuto di atti d'ufficio risulti integrato o meno, l'indicazione di un esperto della professione sanitaria risulta decisiva per consentire un apprezzamento difforme rispetto a quello operato dal giudice di prime cure. Ciò soprattutto quando la condanna risulta inflitta unicamente sulla base di una diversa lettura dell'unica deposizione testimoniale significativa: le indicazioni fornite al telefono dalla moglie del paziente circa i sintomi accusati dal anziano marito. Nel caso esaminato, la Corte d'Appello aveva, invece, ritenuto superflua la perizia per stabilire che il sanitario dovesse recarsi a casa dell'ammalato, senza dimostrare l'insostenibilità sul piano logico e giuridico della decisione adottata dalla precedente assoluzione in primo grado.
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