(DIRE) Roma, 15 ott. - "Per ora a Roma il rischio sembra essere molto basso, in quanto l'epidemia in questo momento è limitata a tre Paesi - Guinea, Sierra Leone e Liberia - con i quali non abbiamo tantissimi scambi. Quindi il rischio che si presenti in Italia una persona infetta è appunto assai basso: non possiamo escluderlo, ma certamente è inferiore a quello di altri Paesi europei". Così Giovanni Rezza, direttore del dipartimento Malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità, intervistato dalla Dire nell'ambito della riunione della commissione Prevenzione dell'Ordine dei medici di Roma, coordinata da Ernesto Cappellano, che si è svolta presso la sede dell'Omceo Roma.
Come si trasmette il virus? "Per contatto diretto con i liquidi organici del malato- risponde Rezza- o con fomites, quindi indumenti o lenzuola dell'infettato su cui ad esempio ha vomitato". Anche per via sessuale? "Per via sessuale il virus si può trasmettere, anzi l'infezione può durare più a lungo nel comparto spermatico, tanto è vero che la presenza del virus è stata riportata fino a quasi 3 mesi dopo la scomparsa della malattia. Quindi questa è una modalità di infezione sotto certi aspetti meno importante, ma di cui bisogna tener conto da un punto di vista epidemiologico per quanto riguarda il rischio individuale".
Secondo Rezza è possibile che "il primo malato di Ebola che forse vedremo in Italia sia un rimpatriato", dal momento che "ci sono diverse decine di italiani che lavorano in quei Paesi colpiti, tra medici, infermieri, e personale di organizzazioni non governative. Speriamo dunque- aggiunge- che l'utilizzo di indumenti protettivi e di dispositivi di protezione individuale garantiscano da un punto di vista di prevenzione dell'infezione, anche se non si puo' escludere che ciò che è accaduto anche in Paesi sviluppati, come la Spagna e gli Stati Uniti, possa accadere anche in una di quelle zone".
Ministri di culto, personale medico di assistenza, immigrati: sono loro i soggetti più a rischio che potrebbero introdurre l'infezione in Italia? "I soggetti in questo senso più a rischio- risponde ancora Rezza- sono soprattutto quelli che fanno viaggi brevi e che provengono da uno dei tre Paesi colpiti. È difficile escludere la possibilità che questo avvenga, anche se lo riteniamo poco probabile, ma l'importante è essere pronti, una volta che dovesse succedere, ad individuare precocemente il caso. La diagnosi precoce è la cosa più importante insieme all'isolamento precoce del malato". Allo stesso tempo "è importante individuare tutti i contatti- aggiunge- le persone che sono state esposte e che soprattutto abbiano avuto un contatto diretto con la persona malata, per quarantenarli e sottoporli a osservazione clinica almeno per tre settimane".
In questo senso i grandi ospedali sono preparati o c'è bisogno di attrezzarsi meglio? "In Italia abbiamo una buona rete di malattie infettive- spiega il direttore del dipartimento Malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità- Molti reparti hanno stanze individuali anche pressurizzate, cioe' con pressione negativa, che riescono a contenere in qualche modo l'infezione, oltre che dei centri di eccellenza come ad esempio lo Spallanzani di Roma o il Sacco di Milano. Quello che e' importante è anche l'addestramento del personale dei Pronto soccorsi, perché è anche lì che potrebbe arrivare la persona malata".
Sarebbe utile un triage selettivo negli aeroporti? "Sarebbe utile soprattutto uno screening in partenza dai Paesi affetti- dice Rezza- perché questo chiaramente impedisce alle persone che sono già malate di partire. Detto questo, qualcuno potrebbe ammalarsi in volo e quindi potrebbe essere necessario uno screening in arrivo, come stanno facendo in Inghilterra. Noi però, a differenza di inglesi, francesi o belgi, non abbiamo voli diretti dalle zone affette, quindi quello che serve e' soprattutto un'informazione a livello aeroportuale per i viaggiatori- conclude- soprattutto per quelli che provengono dalle zone attualmente colpite".
(Cds/ Dire)