Roma, 18 nov. - Pubblicata su "Il Messaggero" di sabato scorso una lettera aperta ai cittadini del Lazio sulla malasanità nella regione, sottoscritta da numerose sigle sindacali di medici. Una vera e propria denuncia della situazione della Sanità laziale, di cui i medici si sentono vittime e non certo responsabili. Per i firmatari, infatti, si tratta di una situazione che sta portando allo stravolgimento di un modello di assistenza sanitaria che fino a ora aveva garantito la tutela dei bisogni di salute di tutti, con la conseguenza di generare carenze e inefficienze di prestazioni, nonché tensioni sociali.
Con la lettera, i camici bianchi prendono atto del crescente malcontento dei cittadini e sottolineano di comprendere le ragioni della crescente ostilità verso la categoria. Malcontento e ostilità che però devono tenere in considerazione la progressiva riduzione degli organici, l'imposizione di turni di lavoro insostenibili, la precarizzazione dei professionisti che la categoria dei medici ormai subisce da tempo: tutto ciò è fonte di gravi criticità e mette l'intero sistema a rischio di casi di malasanità, non direttamente imputabili ai medici, come sostengono le varie organizzazioni sindacali.
"I medici del Lazio- commenta Giuseppe Lavra, segretario generale Cimo Lazio- sono preoccupati ed amareggiati per la programmazione del Servizio Sanitario Regionale che si sta attuando con gli atti aziendali in corso di adozione, in quanto si stanno 'asfaltando' i Servizi a produzione diretta per creare apparati ipertrofici di supporto burocratico in gran parte non utili per i cittadini. Inoltre i medici si sentono ingiustamente maltrattati e umiliati dalle innovazioni organizzative fallimentari che si stanno prospettando in alcune aziende sanitarie".
E cosa succede alla prevenzione? A spiegarlo è Ernesto Cappellano, coordinatore COSIPS (Coordinamento Sindacale Professionisti della Sanità): "Succede che le aziende sanitarie negli atti aziendali fino a ora prodotti, hanno previsto il ridimensionamento dei servizi medici che attualmente garantiscono la sicurezza alimentare e nutrizionale (SIAN) previsti da precise disposizioni di legge per trasformarli in Strutture Semplici e accorparli in modo illogico e innaturale con Servizi Veterinari che hanno invece come mandato la sorveglianza degli alimenti di origine animale. Le competenze di medici e veterinari sono molto diverse e derivano da specifici percorsi formativi universitari che non possono essere stravolti con un atto organizzativo locale. L'illogicità è tanto più marcata quando con la motivazione di risparmiare vengono soppressi servizi essenziali che garantiscono i controlli per la sicurezza degli alimenti, delle acque potabili e la sorveglianza nutrizionale per la prevenzione delle malattie legate a una non corretta alimentazione, ma le corrispondenti le risorse vengono invece dirottate verso la proliferazione di Servizi amministrativi e di supporto".
Intanto la Regione Lazio con l'emanazione del DCA 219/2014 ha deciso di procedere ad una ulteriore fase di "riorganizzazione, razionalizzazione e consolidamento delle attività di laboratori analisi pubblici, attraverso l'adozione di un nuovo modello basato sulla centralizzazione delle attività in un numero ridotto di strutture di elevata capacità produttiva", collegate in rete informatizzata, individuando 8 Hub, di dimensioni anche "sovraprovinciali o interaziendali" (incaricati di svolgere l'attività analitica cosiddetta complessa e specialistica -7/8 milioni di esami ciascuno)nonché di compiti di coordinamento e gestione delle risorse di personale, gestione centralizzata delle risorse strumentali e dei sistemi macchina-reagenti, disattivando 34 laboratori pubblici di Analisi, di cui 16 collocati all'interno di Asl e 18 all'interno di AO/AOU.
Questo il commento di Alessandra Di Tullio, Coordinatore nazionale FASSID: "Tutto ciò è accaduto senza nessun confronto con le categorie interessate(associazioni degli assistiti e OO.SS. del personale)e smentendo clamorosamente quanto deliberato nella 1040/2007,cardine del processo di consolidamento già avviato o completato dalla maggior parte delle Aziende regionali ,in cui si ribadiva infatti l'esigenza di escludere la creazione di 'mega -laboratori', promuovendo l'integrazione tra clinica e laboratorio, e 'considerando come rischio proporzionalmente crescente di inappropriatezza l'eccessivo distacco della sede di produzione del dato da quella della domanda clinica'. Gli Hub invece risultano per la maggioranza previsti presso le sedi di Ospedali dell'ambito territoriale della città di Roma, qui dovranno quindi confluire sia il personale che i campioni da analizzare da ampie zone, anche di montagna, della Regione Lazio, con tempi di percorrenza di distanze elevate, in alcuni casi anche superiori agli 80 chilometri. Appare evidente il possibile danno non solo per l'utenza, ma anche per il personale dipendente. Non risultano poi minimamente quantificati in termine economici i benefici che deriveranno da tale accentramento in relazione agli obiettivi finanziari del piano di rientro,al netto degli inevitabili ingentissimi costi (anche questi non indicati) necessari alla realizzazione delle 8 previste mega-strutture( a discapito di strutture già esistenti e ben funzionanti e vanificandosi così in diversi casi gli investimenti pubblici già realizzati per l'accorpamento di laboratori aziendali in laboratori 'Core'), all'allestimento della necessaria rete informatica e di trasporto dei campioni".
Leggi la lettera (Cds/ Dire)