Roma, 21 mar. - Articolo tratto da "La Repubblica". Con il cartellino timbrato, nell'orario di lavoro 'istituzionale', hanno svolto attività libero professionale in ospedale (l'intramoenia). Di più: alcuni medici hanno chiesto parcelle, fatturando in ospedale, come se stessero nel proprio studio privato. Insomma, più di cento camici bianchi del Sant'Eugenio, del Cto e di altri presidi sanitari della Asl RmC, durante il lavoro ordinario, remunerato con lo stipendio del Servizio sanitario regionale, hanno esercitato la libera professione. Insieme con lo stipendio pubblico, insomma, avrebbero incamerato anche parcelle non dovute perché svolte con il cartellino marcatempo che, con il timbro, segnalava l'impegno nell'attività ordinaria. Non in quella privata. Una furbizia fraudolenta? Una dimenticanza? Un cattivo funzionamento dell'orologio marcatempo? Di fatto l'azienda ha deciso di trattenere dalla busta paga il compenso professionale incamerato con l'intramoenia. Ma c'è di peggio: dopo la richiesta della direzione della Asl di rifondere del "maltolto" le casse pubbliche, a difesa dei medici sono scesi in campo, a scudi levati e con qualche minaccia, otto sindacati. Lo hanno fatto con una lettera che, al pari di una ricetta, è di difficile comprensione. Nell'oggetto si legge: "Attività libero professionale intramoenia: richiesta urgente di sospensione delle sanzioni disciplinari". Dove, per "sanzioni disciplinari", gli otto segretari dei sindacati dei medici intendono quelle "pecuniarie", come chiariscono più avanti. E, addentrandosi nel problema, sono ancora più espliciti: "Al di là delle motivazioni", scrivono, "che appaiono a una prima analisi quanto meno capziose, la sanzione comminata (il provento delle prestazioni in intramoenia della giornata risultata irregolare), senza alcuna possibilità di difesa da parte del malcapitato (sic) risulta ai nostri occhi un abuso, peraltro ampiamente discriminatorio nelle somme". Già, i "malcapitati": non sarebbero i pazienti del Servizio sanitario regionale gabbati due volte, la prima come assistiti, la seconda come cittadinicontribuenti. E l'"abuso" non sarebbe stato consumato ai danni di questi ultimi ma di quanti l'avrebbero perpetrato. La lettera è circolata in lungo e in largo, indirizzata ai cento e passa medici, al management della Asl RmC e alla direttrice del centro di prenotazione dell'Intramoenia.
In definitiva, le otto sigle sindacali dei medici (Uil, Aaroi, FvmSmi, Fesmad, Anpo, Ascoti, Fials e Cgil), con i loro rispettivi segretari, chiedono la sospensione della cosiddetta sanzione che altro non è se non la trattenuta dei soldi incassati con la libera professione esercitata durante l'orario di servizio remunerato con tanto di stipendio. Quei soldi trattenuti dovrebbero alimentare un fondo di perequazione tra i medici, ristorando così quei professionisti che, per la loro specialità (dalla Medicina di prevenzione sul lavoro alla Rianimazione) non possono esercitare l'intramoenia.
A firmare non sono stati tutti i sindacati. All'appello ne mancano due, i più rappresentativi della Asl RmC, l'Anaao e la Cisl Medici. Che, con il suo segretario provinciale, Benedetto Magliozzi, ortopedico del Sant'Eugenio, spiega: "Non ci sono stati iscritti alla Cisl coinvolti nella vicenda". "Se fosse accaduto, di fronte a prove inconfutabili", continua, "non mi sarei certo improvvisato avvocato d'ufficio di quanti avessero perpetrato l'abuso né, tanto meno, avrei scritto una lettera come quella firmata dai miei colleghi sindacalisti". "Dal gennaio scorso, però", aggiunge, "ho sollecitato più volte un incontro con la direzione della Asl per segnalare le criticità nella gestione dell'intramoenia, dall'eccesso di burocrazia alla farraginosità della modulistica, al rispetto dei tempi di accreditamento del dovuto da parte dell'azienda che non ha mai risposto e ora ha avviato un contenzioso con i presunti colpevoli senza chiedere una spiegazione del loro operato, cancellando così il diritto alla difesa".
L'azione di controllo sull'intramoenia era stata avviata già nel settembre scorso dal direttore generale dell'epoca, Antonio Paone il cui contratto è scaduto a novembre. Fu lui a disporre l'incrocio dei dati. Nell'interregno del commissario Ernesto Petti, una cinquantina di giorni, non sembra esserci stata segnalazione alcuna. Nel febbraio scorso, ad accertamenti conclusi, il nuovo dg, Carlo Saitto, ha segnalato le irregolarità.
(Cds/ Dire)