Roma, 10 mar. - Un esame del sangue ci dirà se entro i prossimi tre anni svilupperemo qualche forma di alterazione cognitiva o l'Alzheimer. Non è fantascienza e neppure ricerca astratta; il test è stato già validato e presenta un'elevata accuratezza predittiva di sviluppare una forma di demenza, nell'arco di tre anni, da parte di una persona di 70 anni o più, al momento in buona salute.
Lo studio, condotto da un gruppo di ricercatori del Georgetown University Medical Center e appena pubblicato su Nature Medicine, ha un'immediata ricaduta pratica, che non è solo quella diagnostica, ma la possibilità di mettere in campo un intervento terapeutico in fase precocissima, quando ha cioè le maggiori possibilità di successo. Il test consiste in un prelievo del sangue, sul quale vengono dosati 10 diversi fosfolipidi, in grado di svelare il rischio di queste malattie. E potrebbe essere disponibile al pubblico da qui a un paio di anni. Nel mondo, a soffrire di Alzheimer sono oltre 35 milioni di persone, un numero destinato a raddoppiare ogni vent'anni, secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, che per il 2050 prevede oltre 115 milioni di persone affette da questa demenza.
Tutte le terapie elaborate fino ad oggi si sono rivelate di scarsa o nulla efficacia, probabilmente perché sono state utilizzate sempre in fase troppo avanzata. "Il periodo preclinico della malattia- afferma Howard J. Federoff, Professore di Neurologia presso il Georgetown University Medical Center, di Washington (USA)- offre una finestra di opportunità per intervenire con una terapia, in grado di modificare il corso della malattia. I biomarcatori quali quelli che abbiamo individuato e in grado di svelare la malattia, quando non ha ancora dato sintomi, sono assolutamente fondamentali per poter intervenire quando la terapia hanno le maggiori possibilità di funzionare".
Lo studio pubblicato su 'Nature Medicine' ha arruolato 525 persone sane, di età pari o superiore a 70 anni, che venivano sottoposte ad un prelievo di sangue al momento dell'ingresso nello studio; nell'arco dei 5 anni di follow up, 74 partecipanti hanno presentato i criteri diagnostici che definiscono una forma lieve di Alzheimer o un deterioramento cognitivo lieve amnestico (MCI amnestica o aMCI), una condizione nella quale predominano i disturbi della memoria. Al terzo anno dello studio, i ricercatori americani hanno esaminato 53 persone che avevano sviluppato Alzheimer o aMCI e 53 soggetti senza deficit cognitivi. È su questi due gruppi di soggetti che è stata scoperta la differenza nel pannello dei dieci fosfolipidi (tra i quali la fosfatidilcolina e l'acilcarnitina), che sono stati quindi individuati come il 'test della demenza'. Questi lipidi alterati starebbero ad indicare la distruzione delle membrane cellulari delle cellule nervose, nei soggetti affetti da queste forme di demenza.
"Questo test- spiega il professor Federoff- si è rivelato in grado di distinguere due gruppi distinti di soggetti: i partecipanti allo studio normali dal punto di vista cognitivo e quelli che sarebbero andati incontro ad Alzheimer o a aMCI nell'arco dei successivi 2-3 anni; l'accuratezza del test si è dimostrata superiore al 90%". La presenza o meno del gene APOE4, noto fattore di rischio per Alzheimer, non migliorava le performance del test, che risultava nettamente superiore in accuratezza diagnostica ad altri esami del sangue quali quelli per la ricerca della beta-amioide e delle proteine tau.
"Il prossimo passo- rivela Federoff- consisterà nell'organizzare un trial clinico, nel quale utilizzeremo questo test per individuare le persone ad alto rischio di Alzheimer; su queste andremo a testare farmaci che potrebbero rallentare o prevenire la comparsa della malattia". Il 'test della demenza' potrebbe essere dunque l'uovo di Colombo per assistere le aziende farmaceutiche nella ricerca di molecole disease modifying, da somministrare in fase precoce o addirittura preclinica di malattia.
Lo studio è stato finanziato con fondi dei National Institutes of Health e del Dipartimento della Difesa.
(Cds/ Dire)