Roma, 29 gen. - Una 'trincea' dopo l'altra: quelle che ormai compongono il lungo fronte dei Pronto Soccorso della Capitale. Lo stato maggiore dell'Ordine provinciale di Roma dei Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri è sceso nuovamente in quella dell'Ospedale Sandro Pertini, diventato, suo malgrado, il simbolo del quotidiano assedio alle prime linee dei principali nosocomi romani. Strutture alle prese con un'emergenza non più fisiologica ma patologica, che divora le energie psicofisiche di camici bianchi e infermieri e mette sempre più a rischio i pazienti. "Esasperazione, senso d'impotenza e di mortificazione sono cresciuti pericolosamente rispetto alla nostra precedente visita. Qui l'implosione è davvero prossima", riferisce preoccupato Roberto Lala, presidente dell'Ordine.
Un bacino di utenza di 750 mila abitanti, da fronteggiare con appena 300 posti-letto; 75mila accessi al Pronto Soccorso nel 2013; circa 50 ambulanze ricevute ogni giorno per un totale annuo di quasi 16mila, di cui una decina bloccate quotidianamente per l'impossibilità di restituire tempestivamente le barelle del 118 su cui i pazienti arrivano (e rimangono a lungo). Una trincea in cui il personale si prodiga senza sosta per assistere mediamente 90-95 pazienti in attesa di essere ricoverati nei reparti o trasferiti in altre strutture.
Numeri che pongono il Pertini al terzo posto come numero di accessi ai Pronto Soccorso della città. Eppure negli ultimi due anni qui i medici sono diminuiti di sei unità ed è stato chiuso il box chirurgico: per chi necessita di questa competenza il tempo di attesa per la prima visita è triplicato, così come quello totale di gestione. E c'è anche la 'beffa' di 26 posti letto disponibili ma non attivi per mancanza di personale. "Piano di rientro e blocco del turn-over qui hanno colpito duro, resistere ancora in queste condizioni e garantire ai cittadini il diritto a essere curati al meglio non è più ipotizzabile", sintetizza Lala.
L'esasperazione e la stanchezza del personale sono state rappresentate alla delegazione dell'Ordine dal responsabile del Pronto Soccorso, Paolo Daniele: "Lavorare qui, in queste condizioni, è un inferno che sempre più frequentemente fa pentire di aver scelto di fare il medico: solo la passione e il dovere ancora ci sostengono. Il problema non sono solo le scarse risorse: tutta l'organizzazione interna e la funzione degli ospedali vanno radicalmente ripensate." Concorde il responsabile di Medicina d'Urgenza, Raffaele Schirripa: "La Sanità è cambiata e ormai chi la eroga sul territorio sono soltanto i ps; è cambiata la popolazione, più vecchia e con più malati cronici; sono cambiati i bacini di utenza. Va rivisto tutto". Dito puntato poi verso quelle strutture private che nonostante siano accreditate per accogliere malati acuti non sono adeguate a riceverli, così il paziente rimane in carico al Pronto Soccorso troppo a lungo.
"Tutto ciò ricade inesorabilmente solo su medici e infermieri che diventano i capri espiatori dei pazienti e dei loro famigliari, altrettanto esasperati, della magistratura e dei media, come dimostrano i fatti di questi giorni al San Camillo", ricorda il presidente dei camici bianchi capitolini.
"Le responsabilità però sono di chi ha il potere e il dovere di pianificare e gestire l'offerta sanitaria nel suo complesso. La nostra categoria non ne può più di essere l'agnello sacrificale", avverte Lala. "Inoltre, l'Ordine è un organo dello Stato e non può girare la testa dall'altra parte mentre è messa in pericolo la salute dei cittadini: siamo pronti a chiedere l'intervento della Procura e del Prefetto. E se sarà necessario rappresenteremo la gravità della situazione anche a Bruxelles: il Lazio è una regione dell'Europa e questa, oltre a imporre misure restrittive, deve farsi carico di tutelare il diritto a essere curati qui come altrove".
(Cds/ Dire)