Roma, 26 mag. - Articolo tratto da "La Repubblica". "Libero accesso a Medicina". Poteva essere una frase dettata dal momento e destinata all'oblio. Invece, il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini lo ha ribadito su Facebook: via i test d'ingresso al primo anno e modello francese. Non una parola in più, solo l'intenzione di presentare un piano entro luglio. Al di là di promesse e scadenze, l'esempio d'oltralpe viene presentato come punto di partenza sul quale riflettere.
Il primo anno è comune agli studi di Medicina, Farmacia, Odontoiatria. Gli studenti seguono i corsi e poi si sottopongono a un esame di sbarramento (una parte dopo il primo semestre, l'altro dopo il secondo). Il test è a risposta multipla e verte solo sulle materie studiate (senza domande di logica e cultura generale tipiche dei quiz italiani). In caso di scarso punteggio si può o ripetere l'esame l'anno seguente, oppure scegliere un percorso alternativo, come infermieristica e ostetricia, indicato dalla facoltà in base ai risultati del test. Qualunque sia la scelta finale, sarà una rivoluzione per molti. A cominciare dalle società specializzate nella preparazione ai test, che dovranno tarsformarsi. Sarà, quello francese, il modello giusto? "Ho molti dubbi spiega Maurizio Benato, vice presidente nazionale della Federazione ordini dei medici- il problema principale è lasciare in mano ai singoli atenei la discrezionalità dell'esame per passare al secondo anno. Questo potrebbe comportare diseguaglianze e favoreggiamenti". Ma in quanti vorranno investire un anno della loro vita senza certezze? "Ci sarà sicuramente una decurtazione delle adesioni rispetto a chi si presenta ai test- dice Benato-. Molto però dipenderà dalla possibilità di ottenere, in caso di bocciatura, il riconoscimento degli esami sostenuti da parte delle altre facoltà (chimica, fisica, biologia)". Uno scenario difficile da immaginare per Andrea Silenzi, vice presidente dell'Associazione italiana giovani medici: "Anche in Francia molti si lamentano. Chi può permetterselo, o chi non rientra tra il 15-20% che supera in media il primo anno, va in Belgio e tenta l'accesso a Medicina. Al di la di questo, in Italia le università non sono attrezzate strutturalmente ad affrontare 100 mila matricole l'anno. Il rischio è che, in assenza di una rivisitazione complessiva del sistema, si giochi sulla pelle di giovani e famiglie".
Soddisfatto, ma con riserva, il sindacato dell'Unione degli universitari (Udu): "Per riformare davvero il sistema non basta eliminare i test- dice il coordinatore Gianluca Scuccimarra- sono necessari interventi che partano dall'orientamento scolastico e passino attraverso una politica seria di investimenti (dalle specializzazioni all'inserimento nel lavoro)". Sul tema interviene anche Michele Bonetti, storico avvocato di Udu: "La riforma sul libero accesso non deve allarmare il mondo accademico. Negli anni '90 il numero degli immatricolati a medicina oscillava tra le 90.000 e le 130.000 unità, senza problemi di sovraffollamento. C'è anche da dire che in un sistema libero la bolla creata dal numero chiuso si sgonfierebbe naturalmente, e che, in base ai dati raccolti negli ultimi anni, gli atenei sarebbero comunque in grado di contenere oltre 35.000 studenti". "E poi- continua il legale- l'abolizione dei test potrebbe portare alla chiusura dei poli universitari all'estero", da Vasile Goldis di Arad, all'Università Medica di Poznan fino all'Università europea di Madrid e fino MUS di Sofia, dove si rifugiano gli studenti che non superano i test. Il legale di Udu descrive un mondo dove i sogni si trasformano in business: tasse alle stelle, atenei che promettono il trasferimento in Italia dopo un certo numero di crediti, ma anche società di servizi pronte ad accompagnare gli studenti dall'inizio alla fine del percorso universitario (compreso il servizio navetta per l'aeroporto e le visite guidate all'università). A questo si aggiungono le convenzioni con l'Italia: "I nostri atenei barrano gli accessi principali e aprono succursali all'estero, così fanno nascere nuove cattedre e incarichi per docenti italiani e poi consentono un immediato riconoscimento dei titoli. Nostra Signora del Buon Consiglio di Tirana, ad esempio, è convenzionata con le università di Tor Vergata, Bari, Bologna, Firenze, Palermo Foggia, Cattolica di Milano e Lumsa di Roma. Stesso piano di studi, stessi insegnanti, l'unica differenza è il costo: 10 mila euro all'anno".
(Cds/ Dire)