Roma, 19 mag. - La Corte costituzionale, con sentenza 5 maggio 2014 n. 110, dichiarando incostituzionali una serie di norme della Regione Calabria, è tornata sull'interferenza tra funzioni commissariali e autonomia legislativa delle Regioni, ribadendo le proprie precedenti posizioni, e cioè che le funzioni amministrative del Commissario ad acta, incaricato dell'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario previamente concordato tra lo Stato e la Regione interessata, ovviamente fino all'esaurimento dei suoi compiti di attuazione del Piano di rientro, devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli organi regionali.
Non solo. La Corte ha, altresì, ribadito che l'autonomia legislativa delle Regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell'ambito della gestione del servizio sanitario è concorrente con quella statale e, pertanto, può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa, in un quadro di esplicita condivisione da parte delle Regioni della assoluta necessità di contenere i disavanzi del settore sanitario.
Pertanto, il legislatore statale può legittimamente imporre alle Regioni vincoli alla spesa corrente per assicurare l'equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari , identificando tali vincoli con gli interventi individuati negli accordi di cui all'art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2005), finalizzati a realizzare il contenimento della spesa sanitaria ed a ripianare i debiti (i c.d. piani di rientro). Applicando tali consolidati principi, la Corte ha concluso per la illegittimità costituzionale, anche sotto questo profilo, delle disposizioni della legge regionale Calabria che prevedeva la stabilizzazione (sia pure a determinate condizioni) di personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato presso le Aziende sanitarie e ospedaliere della Regione.
La fonte della disciplina del commissario ad acta va rinvenuta all'articolo 120 della Costituzione. La legge 5 giugno 2003 n.
131, contenente 'Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost., 18 ottobre 2001, n. 3' (cd legge La Loggia), con l'articolo 8 comma 1, ha dettato i principi per l' attuazione dell'articolo 120 della Costituzione sul potere sostitutivo. Tale potere deve sempre essere supportato da una previsione normativa, che indichi i presupposti sostanziali e procedurali per l'esercizio dello stesso. Il potere conferito dal Governo al commissario ad acta trova fondamento e limite nella delega governativa, attraverso la delibera di nomina. In caso di esercizio del potere sostitutivo statale, si determina la cessazione del potere d'intervento regionale.
Non pochi problemi si sono posti in dottrina circa il contenuto dei poteri commissariali, con particolare riferimento all'esercizio del potere legislativo da parte dei commissari ad acta. Il problema si pone in quanto il ripianamento dei debiti sanitari avviene, in primis, attraverso provvedimenti tributari di natura legislativa, come l'addizionale Irpef e l'innalzamento dell'aliquota Irap. L'articolo 8 comma 1 della legge c.d. la Loggia richiama esplicitamente tra gli interventi sostitutivi i 'provvedimenti a carattere normativo'. Tuttavia, non appare ammissibile la possibilità che il titolo sostitutivo, in ragione del quale i Presidenti di regione possono intervenire ai fini del ripianamento dei disavanzi sanitari regionali, conferisca ai relativi atti anche natura normativa e/o legislativa, e ciò anche in ragione dei rilievi formulati dalla giurisprudenza costituzionale. Ad avviso di tale giurisprudenza, infatti, la disciplina contenuta nel secondo comma dell'art. 120 Cost. non può essere interpretata come implicitamente legittimante il conferimento di poteri di tipo legislativo ad un soggetto che sia stato nominato Commissario del Governo: anche volendosi interpretare tale disposizione come tale da legittimare il potere del Governo di adottare atti con forza di legge in sostituzione di leggi regionali, e quindi eccezionalmente derogando al riparto costituzionale delle competenze legislative fra Stato e Regioni, tramite l'esercizio in via temporanea dei propri poteri di cui all'art. 77 Cost., resta il divieto costituzionale di affidare ad un diverso organo gli eccezionali poteri di natura legislativa del Consiglio dei Ministri ovvero di incaricarlo di adottare una legge regionale, che è un potere proprio del solo organo rappresentativo della Regione.
In questo quadro è intervenuto il Decreto Legge 6 luglio 2011 n 98, convertito in legge 15 luglio 2011 n 111, che, modificando la Legge 23 dicembre 2009, n. 191, ha ulteriormente integrato la materia stabilendo che, qualora, in corso di attuazione del piano o dei programmi operativi, gli ordinari organi di attuazione del piano o il commissario ad acta rinvengano ostacoli derivanti da provvedimenti legislativi regionali, li trasmettono al Consiglio regionale, indicandone puntualmente i motivi di contrasto con il Piano di rientro o con i programmi operativi. Il Consiglio regionale, entro i successivi sessanta giorni, deve apportare le necessarie modifiche alle leggi regionali in contrasto, o le sospende, o le abroga. Qualora il Consiglio regionale non provveda ad apportare le necessarie modifiche legislative entro i termini indicati, ovvero vi provveda in modo parziale o comunque tale da non rimuovere gli ostacoli all'attuazione del piano o dei programmi operativi, il Consiglio dei Ministri adotta, ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione, le necessarie misure, anche normative, per il superamento dei predetti ostacoli. Resta fermo che i provvedimenti regionali finalizzati al rispetto degli obiettivi posti dai piani di rientro, non possono sovrapporsi ai poteri attribuiti al commissario ad acta.
Il Decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito in legge 15 luglio 2011 n.111 detta disposizioni anche circa l'adeguamento della normativa regionale, a seguito di sentenza della Corte costituzionale. Il comma 14 dell'articolo 20 dispone - ai fini del coordinamento della finanza pubblica - che le regioni tenute a conformarsi a decisioni della Corte costituzionale, anche con riferimento all'attività di enti strumentali o dipendenti, comunichino alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari regionali, tutte le attività intraprese, gli atti giuridici posti in essere e le spese affrontate o preventivate ai fini dell'esecuzione, entro tre mesi dalla pubblicazione della decisione sulla Gazzetta Ufficiale. In caso di mancata o non esatta conformazione alle decisioni della Corte - dispone a seguire il comma 15 - il Governo esercita il potere sostitutivo di cui al l'articolo 120, secondo comma della Costituzione.
In conclusione, sembrerebbe che i ruoli di Presidente della Regione e di Commissario ad acta siano ad alto rischio di collisione, qualora non siano esattamente integrati, poiché il principio di coordinamento della finanza pubblica ha fortemente blindato l'attuazione dei piani di rientro dal disavanzo sanitario. Proprio sul piano dell'integrazione tra ruoli si gioca la ratio dell'articolo 2 del D.L 120 del 2013, convertito in legge 13 dicembre 2013 n 137, che ha modificato la legge 23 dicembre 2009 n 191, disciplinante l'assetto della normativa in materia di piani di rientro. Le disposizioni recate dal comma 6 sono finalizzate a consentire alle regioni sottoposte a Piano di rientro del disavanzo sanitario, in caso di riduzione strutturale del disavanzo (verificata dai Tavoli tecnici), di evitare le massimizzazioni delle aliquote dell'IRAP e dell'addizionale regionale all'IRPEF.
Tenuto fermo che una quota parte del relativo gettito deve essere finalizzata alla copertura del disavanzo, per la restante quota di gettito la regione interessata può disporre la riduzione delle aliquote ovvero la destinazione anche a finalità extrasanitarie. In particolare la norma dispone che a decorrere dal 2013, nelle Regioni sottoposte a piano di rientro, laddove il disavanzo sanitario sia risultato decrescente e inferiore al gettito derivante dalla massimizzazione delle maggiorazioni fiscali regionali di Irap e dell'addizionale Irpef, e questo sia avvenuto in ciascuno degli anni dell'ultimo biennio di esecuzione del Piano di rientro, ovvero del programma operativo di prosecuzione dello stesso come verificato dai Tavoli tecnici, è consentita la riduzione delle maggiorazioni fiscali regionali di Irap e dell'addizionale Irpef, ovvero la destinazione riguardanti lo svolgimento di servizi pubblici essenziali e l'attuazione delle disposizioni di cui al decreto-legge 8 aprile 2013, n°35, convertito, con modificazioni dalla legge giugno 2013 n° 64 'Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali'.
Resta comunque fermo il meccanismo che permette alle Regioni, che conseguono obiettivi intermedi superiori a quelli previsti, di rideterminare, nell'esercizio successivo, le aliquote nei limiti dei migliori risultati conseguiti e certificati in sede di verifica periodica (articolo 2, comma 80, ultimo periodo , della legge 191/2009).Tale norma, di grande impatto sociale, consente di utilizzare le risorse residue dell'extragettito per altri servizi essenziali ovvero per far fronte alle necessarie coperture derivanti dalle anticipazioni chieste al Mef per il pagamento dei debiti, che il Presidente della regione è tenuto a garantire.
Più alta sarà la riduzione del disavanzo sanitario, più alta la eventuale quota di extragettito da destinare alla riduzione delle maggiorazioni delle addizionali Irpef ed aliquote Irap e ad altri servizi essenziali per i cittadini regionali. È evidente anche in questo caso la necessità di integrazione tra ruolo di Presidente e di Commissario ad acta per la sanità.
(Cds/ Dire)