Roma, 24 lug. - Articolo tratto da "La Repubblica". Vi fareste operare in un reparto di chirurgia toracica dove si fanno appena 25 interventi di tumore al polmone l'anno o anche meno? La risposta probabilmente è no, eppure in Italia ogni anno mille malati finiscono sotto i ferri di medici poco allenati, che entrano in sala in media una volta ogni due settimane. Sono 130 gli ospedali dove l'attività sul polmone è così bassa da giustificare una immediata chiusura da parte delle Regioni, che però non hanno abbastanza coraggio per dire basta. Se si alza la soglia a 50 interventi, comunque pochi, le strutture diventano 160. I dati sono quelli del ministero, rielaborati in una ricerca sul 2011 e il 2012 dall'Istituto oncologico europeo di Umberto Veronesi a Milano, l'ospedale dove si fanno più operazioni per tumore al polmone nel nostro Paese, 326 in un anno.
La ricerca spiega come per le società scientifiche internazionali, il numero minimo degli interventi più impegnativi di una chirurgia toracica è di 100. Ma da noi già prendere in considerazione chi sta sotto i 25 può servire a migliorare l'assistenza ai pazienti. Il lavoro di Massimo Monturano, risk manager dello Ieo, entra nel vivo di uno dei temi più caldi della razionalizzazione sanitaria. La lotta a sprechi e inefficienza, più che dalla chiusura dei piccoli ospedali, che possono essere riconvertiti e trovare nuove strade di assistenza, passa dallo stop ai reparti dove si lavora poco oppure male. Se c'è la prima condizione, comunque, la seconda è una conseguenza quasi certa. La letteratura scientifica su questo punto è concorde: i chirurghi devono entrare spesso in sala per lavorare bene.
"Dobbiamo operare molto- spiega Lorenzo Spaggiari, responsabile della chirurgia toracica Ieo- il nostro è un mestiere manuale ripetitivo: più fai, migliore è il servizio che dai al paziente. Se fai solo una lobectomia al mese, magari con intelligenza e sensibilità la concludi bene, ma il paziente ha rischiato".
Di recente un regolamento allegato al Patto per la salute tra ministero alla Sanità e Regioni ha ribadito questo principio, anche se attende l'approvazione. Prevede soglie di attività minima a seconda della specialità e anche, per le strutture che fanno comunque un numero sufficiente di interventi, una valutazione in base all'esito dell'assistenza per il malato. Di chirurgie toraciche, se si seguissero quegli standard, in Italia ne basterebbero 80, contro le attuali 215. Tagliando le 130 che fanno meno di 25 interventi si arriverebbe più o meno a quel numero.
I dati Ieo indicano anche la diffusione delle strutture troppo piccole nel nostro paese. La Lombardia, dove nel tempo è proliferata l'assistenza ospedaliera specialistica, ne ha la bellezza di 35 che fanno sotto i 25 interventi l'anno, contro le 19 che ne fanno di più. In Veneto sono 19 contro 6, in Lazio 20 e 6, in Sardegna 6 e 1, in Calabria 3 e 0. "Bisogna tenere conto delle differenze geografiche - aggiunge Spaggiari - a Milano non ha davvero senso una struttura piccola, perché ci sono vari ospedali che lavorano molto. Magari in una zona del Paese dove ci sono meno servizi specialistici, può servire una toracica piccola. La cosa importante è informare i pazienti, devono sapere che rischiano di più dove si lavora meno. Così possono scegliere consapevolmente dove farsi operare".
L'offerta di chirurgia toracica in Italia è molto frammentata. Solo ventuno ospedali, circa il 10%, superano i cento interventi l'anno - scrivono i ricercatori Ieo - Oltre la metà delle regioni (undici) non ha nessun ospedale che raggiunge la soglia, sette di queste non hanno nessun ospedale che supera la metà. Sono dieci le regioni dove sono presenti centri che vanno oltre: Lombardia (sei centri), Lazio (quattro), Toscana (tre), Emilia (due).
Campania, Veneto, Puglia, Piemonte, Liguria e Abruzzo (uno).
(Cds/ Dire)