Roma, 21 gen. - Il caso. Non erano ancora trascorse due settimane dalla prematura scomparsa della figlia, strappata alla vita da una leucemia a soli dodici anni. Così, quando V.M., romano di quarantadue anni, era arrivato al pronto soccorso dell'Aurelia Hospital, accusando un dolore al petto e al braccio, i medici, che conoscevano la situazione familiare del paziente, pensarono che i sintomi descritti fossero esasperati anche dall'atroce vicenda che lo aveva colpito. E lo avevano dimesso dopo quattro ore. Ma il giorno seguente un arresto cardiocircolatorio aveva ucciso l'uomo, mentre era in casa con suo figlio di sette anni.
Per questo motivo il pubblico ministero Lina Corbeddu ha chiesto tre anni e quattro mesi di reclusione nei confronti di M.F., il medico che visitò l'uomo e firmò le sue dimissioni: è accusato di omicidio colposo e adesso siede nel banco degli imputati insieme all'Aurelia Hospital, la struttura ritenuta dalla procura responsabile civile. Luisa Bontempi, l'avvocato che assiste i familiari della vittima, ha inoltre chiesto un risarcimento del danno con una provvisionale di trecentomila euro.
Il ricovero. I fatti si svolgono il 19 aprile del 2010. Dopo la morte della bambina, la famiglia trascorreva un periodo difficile e così, quando V.M. era arrivato in ospedale con un dolore al petto ed al braccio, aveva subito comunicato ai dottori dell'Aurelia Hospital le sue difficoltà emotive. Il paziente, che fino a pochi mesi prima era stato visitato per donare le cellule staminali alla figlia, e godeva di buona salute, giunto in ospedale era stato sottoposto a diverse analisi, non sufficienti secondo la procura, ed era stato dimesso quattro ore dopo il suo arrivo in ospedale.
Le dimissioni. "Pensavo fosse provato da ciò che gli era successo", ha detto in aula il medico imputato. Il dottore, coinvolto emotivamente dalla vicenda familiare del paziente, aveva pensato che l'affetto dei suoi cari sarebbe stato la cura migliore. "Il medico mi ha consigliato di fare una vacanza in Australia", aveva detto la vittima alla moglie mentre si allontanavano in taxi dall'ospedale. "Non me la sono sentita- ha continuato in aula l'imputato- di fare firmare il foglio per l'autodimissione ad una persona già provata da ciò che gli era accaduto. Mi sono preso tutta la responsabilità e ho provveduto alle dimissioni". V.M. era quindi tornato a casa e sempre sorvegliato dalla moglie che lo assisteva con preoccupazione, ed era andato a dormire.
L'infarto. Tutto sembrava andare per il meglio ma il mattino seguente M.V. era stato colpito da un infarto. Era morto così, sul divano del soggiorno, a soli quarantadue anni e davanti al figlio, un bambino di sette anni che aveva perso la sorellina pochi giorni prima e che al momento della morte del padre si trovava nell'appartamento, da solo. A nulla era servito l'intervento dei sanitari, accorsi dopo il ritorno in casa della moglie. La vicenda era quindi finita in procura e adesso il dottore rischia tre anni e quattro mesi di reclusione.
"Eticamente non mi rimprovero nulla- ha detto l'imputato in aula- professionalmente la mia colpa è stata quella di avere avuto troppa emotività. Ero un chirurgo- ha concluso il dottore- ora non lo sono più, dopo questo evento non me la sento più di fare il medico. Attendo la pensione".
(Cds/ Dire)