Roma, 18 feb. - Il Lazio è lo specchio di un Paese a doppia velocità. Da una parte c'è chi ha compreso il cambiamento radicale e irreversibile della globalizzazione e si è messo a correre, dall'altro c'è chi drena risorse alla produzione e al lavoro con una tassazione a livelli svedesi senza che i servizi di welfare siano paragonabili a quelli scandinavi. I primi sono gli imprenditori innovatori, il secondo è il Fisco, figlio di una classe politica inadeguata, che rema in direzione opposta.
L'Italia che si è ormai messa alle spalle la recessione è quella che ha scommesso sulla domanda estera con ricadute positive all'interno. E i dati di una recente indagine della Cgia di Mestre dimostrano, forse anche un po' a sorpresa, che tra le prime regioni italiane che tra il 2008 e il 2013 hanno aumentato le esportazioni c'è proprio il Lazio con un incremento del 20,6%, dietro la Toscana (+21,3) e la capofila Liguria (+23.4). Sono le aziende che hanno fatto innovazione spesso operando nei settori tradizionali del Made in Italy. È la strada per tornare a far crescere il Pil e dunque l'occupazione. E questo è anche il ruolo dei buoni imprenditori.
A complicare le cose però sono altri numeri: quelli dello Svimez sui livelli di tassazione. Nel Lazio l'Irap pesa per il 75%, più che in Lombardia (73%), più che in Veneto (70%). Tante tasse per coprire i buchi nella sanità. Quelli che hanno fatto i politici con la complicità di una parte della classe imprenditoriale che non ha mai alzato lo sguardo oltre gli appalti pubblici. Ecco, per una volta non è difficile trovare i responsabili di questa nostra uscita lentissima dalla crisi.
(Cds/ Dire)