Roma, 14 feb. - Burocrazia infernale che fa passare anche due anni per autorizzare un nuovo laboratorio clinico, mentre chi ha investito grosse cifre nella sua futura attività attende impotente. Una situazione aberrante, tutta laziale, messa in luce da Brunello Pollifrone, presidente degli odontoiatri di Roma.
"L'informatizzazione c'è ma per gli studi già attivi. Per i nuovi no- sottolinea Pollifrone-. La procedura per aprire l'attività è solo cartacea, come cent'anni fa, anche se il presidente della Regione, Zingaretti, ha scritto nella programmazione 2014 che deve esserci una piattaforma informatica totale".
"Oggi, per aprire un laboratorio- prosegue-, non uno studio mono professionale, prima si comprano macchinari, si assume personale, si fa tutto, dopo può partire la procedura di autorizzazione. Il sindaco e il municipio di zona vedono se la struttura è adeguata, i metri quadri, la categoria abitativa e il resto: primo nulla osta dopo tre-quattro mesi. Tutto va alla Regione che rimanda alla Asl competente per i suoi controlli. Poi la pratica torna in Regione".
"Questo giochino, dopo che nella attività si sono già spesi 300/400 mila euro o anche un milione, può durare un anno e mezzo, mentre si paga anche l'affitto e il personale- continua- e le macchine acquistate possono diventare obsolete. Questo lungo giro di carte, favorisce anche 'devianze', come chi, disperato, approfitta della 'disponibilità' di tecnici nel velocizzare la pratica".
"Più aberranti i comportamenti differenti delle Asl- dice Pollifrone-. La RmA può pensarla in un modo, la RmB in un altro e così via. Capita che alla Asl RmC chiedano cose assurde, per norma inesistenti. Ho mandato a Zingaretti una lettera su un caso specifico, l'apertura di uno studio odontoiatrico associato al cui titolare un direttore della RmC chiedeva l'abbattimento delle barriere architettoniche per dare il parere di conformità. Tale direttore non conosce la differenza, come da norma, fra ambulatori, cliniche e strutture complesse che devono essere senza barriere architettoniche e studi mono professionali che non ne sono obbligati». Servono nuovi meccanismi normativi che permettano agli studi professionali soggetti ad autorizzazione regionale di condividere gli spazi comuni, nel rispetto dei requisiti minimi, con altri professionisti che, indipendentemente, possano gestire i loro pazienti".
"Un burocrate in Regione ha deciso che il codice civile non lo consente. Accade solo nel Lazio. Nella vicina Toscana si può condividere uno studio con colleghi della stessa branca, un dentista con un ortodontista, un implantologo. Poi qui c'è l'impossibilità di prendere un consulente, un sostituto: una collega che ha avuto una gravidanza difficile, ha dovuto chiudere il suo studio per due anni. È la morte di un'attività. La regolamentazione laziale è vecchia, da rifare- conclude Pollifrone-. Lo abbiamo fatto capire in nostre proposte presentate in tavoli di confronto alla Regione. Vedremo".
(Cds/ Dire)