(DIRE) Roma, 5 dic. - Si è riunita a Roma la commissione Emergenza-Urgenza, presso la sala Conferenze dell'OmceO di Roma, l'ordine provinciale di Roma dei medici chirurghi e degli odontoiatri. Dopo l'introduzione di Massimo Magnanti, segretario Spes (sindacato Professionisti Emergenza Sanitaria), è stato il turno della relazione di Francesco Caroleo Grimaldi, patrocinante in cassazione e docente di diritto penale presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'università La Sapienza di Roma: "Se l'ospedale è carente per strutture e organizzazione, il medico non risponde per la morte del paziente", a commento della sentenza della Cassazione numero 46336/14, sezione IV Penale del 7 ottobre del 2014.
Nello specifico, se l'ospedale è carente per strutture e organizzazione, il medico non risponde per la morte del paziente. È questa, in sintesi, la motivazione della sentenza emessa appunto dalla suprema corte di Cassazione con la quale la corte di Legittimità - addebitando la morte di un paziente "all'irrazionale disposizione della struttura, alla carenza dei mezzi e all'assenza di linee guida per il trasferimento del predetto" - ha assolto dall'imputazione di omicidio colposo tutti i medici coinvolti.
"È una sentenza estremanmenbte importante, per la prima volta si contestualizza l'attività del medico all'interno della struttura sanitaria- ha detto Francesco Caroleo Grimaldi- Fino ad ora si considerava come se il medico agisse in un contesto simile al paese delle meraviglie, dove tutto funzionava perfettamente, tutto in regola, con i macchinari attrezzati. E ancora, con le ambulanze che arrivavano in pochi secondi. Con questa sentenza si prende atto che c'è un problema legato alle strutture, ai problemi di budget, a mille situazioni. Questa sentenza dice che i medici possono aver sbagliato nella diagnosi, ma la morte del paziente non è ricollegabile ad un errore o a una colpa del medico, ma correlata a un contesto inadeguato, inefficiente, incongruo, nel quale il medico si è trovato a dover operare".
Sono quindi stati "mandati assolti i medici, a questo punto ci sarà una responsabilità di ordine civile nei confronti delle strutture". Il significato di questa sentenza? "Si contestualizza l'attività del medico, dove ha agito, con chi, quale budget, quale era la competenza". Ad esempio, infatti, in questo caso specifico il triage "viene fatto da una infermiera: come può una infermiera valutare una urgenza?". Il caso posto all'attenzione della Corte - nello specifico - riguardava la morte di un paziente per emorragia interna causata da un incidente stradale.
Ad essere tratti in giudizio, il medico di turno del pronto soccorso ortopedico e il medico del pronto soccorso generale, per aver "colposamente cagionato la morte del paziente" trasportato presso la struttura sanitaria a seguito dell'incidente, in quanto avrebbero "tardivamente diagnosticato una imponente frattura alla milza inibendo così le tempestive, necessarie e risolutive attività terapeutiche".
Per Massimo Magnanti, segretario dello Spes, "questa sentenza ha un significato importante, è una delle primissime sentenze della cassazione che mette in evidenza dove esistano delle problematiche organizzative significative e importanti. È un cambio importante, un'ottica nuova viene messa a fuoco". Magnanti fa quindi un esempio: "Vediamo il pronto soccorso, con 40 malati in attesa di ricovero, gestito da personale sotto organico: come fanno questi medici e infermieri a gestire emergenze come se fossero due reparti messi insieme? Dovendo ovviamente assicurare una stessa assistenza a tutti".
Per il presidente dello Spes è "importante, il medico viene considerato responsabile, sempre e comunque". In situazioni oggettivamente deficitarie, a quel punto "non si può chiedere a nessuno di diventare nembo kid, ci sono limiti funzionali, un medico non può assistere piu di un tot di pazienti, non ce la può fare ad assisterli. Non puo' essere ritenuto responsabile".
Nel corso del processo è emerso però come il trasferimento da un pronto soccorso all'altro non fu tempestivo a causa della lunga attesa per la ricerca dell'ambulanza, e che in assenza dell'autolettiga il trasferimento avvenne su una barella. Al pronto soccorso generale, inoltre, il paziente venne contrassegnato dall'infermiera addetta al triage con codice verde. La diagnosi tempestiva, infine, venne anche impedita dalla mancata disponibilità dell'ortopedico di un apparecchio per effettuare l'ecografia.
La Suprema Corte, allora, non ravvisando profili di responsabilità circa le condotte poste in essere dai medici, ha precisato come la salvezza del paziente sarebbe potuta realizzarsi solo nel tempo in cui lo stesso si trovava presso il pronto soccorso ortopedico. Tuttavia la disorganizzazione, i disguidi, oltre che gli equivoci non imputabili al sanitario di turno hanno impedito di scongiurare l'evento. Peraltro, il ritardo nel trasferimento fu determinato non dalla decisione del medico bensì dalla indisponibilità di una autolettiga. Si è ascritto così alla carenza organizzativa un ruolo significativo nella successione degli accadimenti che hanno condotto alla morte del paziente. "I ritardi nel trasferimento- si legge nella sentenza- costituiscono conferma delle sorprendenti carenze organizzative".
Leggi il parere completo dell'avv. Francesco Caroleo Grimaldi (Red/ Dire)