Roma, 28 apr. - Articolo tratto da "L'Huffington Post". "Mens sana in corpore sano": chi non ha mai sentito questa massima sul binomio fra salute fisica e mentale? La massima di Giovenale però non è circoscrivibile solo all'individuo e negli anni è divenuta chiara la consapevolezza che non può esserci sviluppo nazionale, sociale ed economico, senza un robusto e universale sistema sanitario.
È facile avere un'idea dell'impatto della Sanità pubblica sull'economia del Paese: questa rappresenta la seconda voce di spesa più importante per il Governo, con un ammontare equivalente al 7,1 % del PIL, destinato a diventare il 9 % nel 2060 secondo le proiezioni della Ragioneria Generale dello Stato. Inoltre si stima che la spesa Out Of Pocket delle famiglie per cure mediche si attesti intorno al 18 % del totale della spesa sanitaria.
Questi dati mettono in evidenza il ruolo svolto dal SSN di sostegno alla società evidenziano come accedere alle cure mediche sia una precondizione essenziale per lo sviluppo del capitale umano di una nazione tanto quanto la possibilità d' accesso all'istruzione di base.
Emerge dunque come la Sanità non debba e possa essere considerata un settore di secondo piano, una spesa alla deriva in balia della path dependency, ma debba diventare il timone della crescita e della ripresa italiana.
Il potenziale e le opportunità non mancano: la Sanità, infatti, non solo è uno dei settori con più alto tasso d'innovazione tecnologico ma è anche un vettore diretto per migliorare la forza lavoro ed il capitale umano. Per quanto riguarda il lato degli investimenti, invece, sono i fondi europei per lo sviluppo a presentarsi come occasione da sfruttare.
L'investimento dei fondi strutturali in sanità risponde quindi all'esigenza della politica di coesione europea permettendo di ridurre le disuguaglianze economiche e sociali. In primis favorisce il miglioramento delle condizioni generali di salute della popolazione, il che, a sua volta, rende più efficaci le politiche dirette all'aumento della produttività, dell'offerta di lavoro, dello stock di capitale umano e, di conseguenza, della crescita. Quindi contribuisce alla riduzione dei costi futuri di prevenzione e trattamento delle malattie. Infine riduce il rischio di esclusione sociale dei soggetti più vulnerabili, i quali soffrono più frequentemente di malattie o disabilità che prevengono la loro partecipazione attiva nel mercato del lavoro.
Tuttavia, affinché ciò accada occorre superare due principali resistenze che incorrono quando si valuta lo stanziamento dei fondi comunitari strutturali a settori come la Sanità.
La prima è legata all'attuale forma mentis che vede questo settore come una spesa e non come un potenziale fattore critico di successo per il paese. La seconda è la scarsa evidenza di rendimenti ben definibili e facilmente misurabili. I fondi infatti vengono spesso deviati verso settori con un ritorno economico più immediato e misurabile in maniera oggettiva.
Una proposta che si muove in tal senso è quella di migliorare la cost-efficiency con l'utilizzo di strumenti adeguati, come l' Health Technology Assessment (HTA) o l'e-health. Questi strumenti permettono di valutare l'adozione di nuove tecnologie e innovazioni in ambito sanitario o di rafforzare la prevenzione, la diagnosi, il trattamento, il monitoraggio delle malattie, supportare la gestione di informazioni e di networks, il monitoraggio dei LEA e il controllo della spesa sanitaria.
Il cambiamento di rotta via fondi strutturali comunitari è quindi un'opportunità che l'Italia, oggi più che mai, non può perdere.
Il 22 Aprile è stata la data ultima per presentare a Bruxelles il nuovo Accordo di Partenariato tra il Governo e la Commissione Europea. Questo documento di programmazione, articolato in 11 obiettivi tematici, permette di sbloccare il ciclo di fondi strutturali e di investimento europei 2014-2020, un pacchetto da 32 miliardi di euro. A questi si aggiungono i circa 22 miliardi del precedente settennato da spendere entro la fine del 2015.
I tempi sono stringenti ma, considerando che ad oggi, secondo il rapporto Oasi 2013 presentato dal CERGAS, 7 delle 10 Regioni in Piano di Rientro risultano inadempienti o parzialmente inadempienti nel mantenere i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), se non ancora irrecuperabile, la situazione è critica e non si può indugiare oltre.
(Cds/ Dire)