Roma, 13 nov. - Un ambito tipico nel quale si presenta il problema della responsabilita' del datore di lavoro per i danni causati dal proprio dipendente e' quello medico. La materia per sua natura comporta un'alta e costante esposizione al rischio che il dipendente possa causare danni a terzi, e quindi il datore di lavoro - che si tratti di un ospedale o di un'altra struttura medica organizzata in forma imprenditoriale - viene spesso chiamato a rispondere sul piano economico di queste vicende.
La giurisprudenza ha piu' volte esaminato la materia, mettendo in luce che il soggetto che assume la qualifica di datore di lavoro risponde per tutti i danni che siano derivati al paziente in seguito all'applicazione di trattamenti sanitari sbagliati, sia quando questi abbiano avuto carattere volontario, sia nel caso in cui abbiamo avuto natura obbligatoria. Il danno di questo tipo puo' estendersi alla salute psico fisica del paziente - anzi, normalmente colpisce in maniera rilevante questo aspetto.
Cosi' la giurisprudenza ritiene che l'obbligazione del datore di lavoro non riguarda solo il danno patrimoniale subito dal terzo, ma si estende anche al cosiddetto danno biologico. Con questa definizione si fa riferimento a tutte le conseguenze pregiudizievoli per la salute ed a tutte le menomazioni psichiche e fisiche prodotte dal medico che ha sbagliato l'intervento in maniera colposa o dolosa (senza escludere, in questi casi, anche dei possibili riflessi penali per il medico.
Un altro danno che puo' accompagnarsi a questa fattispecie e' quello morale, che spetta al paziente nel caso in cui la menomazione sia frutto di un comportamento che puo' essere configurato come un reato. Anche questo danno puo' essere addebitato al datore di lavoro, se l'illecito e' stato commesso da un dipendente facente parte della struttura sanitaria.
Il tema e' stato affrontato lo scorso anno dal decreto Balduzzi (Dl 153/2012, convertito in legge n. 189/2012) che, nella forma risultante dalla conversione in legge, ha stabilito che l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attivita' si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunita' scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. Sempre secondo la norma, il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta del medico.
La norma in sostanza ha valorizzato la colpa lieve come criterio per ridurre la responsabilita' penale, limitando letture piu' rigide della giurisprudenza, ed ha introdotto come ulteriore possibile scriminante l'applicazione delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunita' scientifica.
(Cds/ Dire)