Se ne parla a Bologna al seminario "be inclusive"
Roma, 20 set. - Il dovere di un etnopediatra? Formarsi per migliorare l'assistenza ai bambini appartenenti a fasce deboli, fare educazione alla salute, ma soprattutto accogliere senza giudicare. Luciana Biancalani, pediatra di famiglia, non ha dubbi quando parla del suo lavoro in ambulatorio con bambini stranieri, siano essi bengalesi, ghanesi, rom o sinti. "Ognuno di loro proviene da una cultura differente e ha diverse priorita', anche se naturalmente i bisogni di salute sono uguali per tutti- spiega- Ecco perche' dobbiamo porci in una condizione di ascolto, sospendendo il giudizio, per cercare di capire come possiamo massimizzare il nostro aiuto e assicurare a tutti il diritto alle cure".
Di etnopediatria si e' parlato a Bologna in occasione del seminario "Be inclusive", dove sono state presentate le buone pratiche messe a punto dal progetto Pon Rsc (Programma operativo nazionale rom sinti e caminanti), per l'inclusione delle comunita' rom, sinti e caminanti a partire dai bambini e dalla scuola. È proprio all'interno del team del progetto Pon Rsc che lavora Luciana Biancalani: "Le comunita' rom e sinte hanno una cultura molto particolare: c'e' grande fratellanza all'interno della famiglia e quando un bambino sta male tutti si mobilitano, genitori, nonni, anche i fratelli. Dobbiamo chiederci ogni volta: cosa si aspettano da noi medici?" Le abitudini diverse a volte possono diventare una barriera: ecco perche' il pediatra deve innanzitutto restare aperto e in ascolto.
"I genitori mi portano il bambino quando ha la febbre o il mal di pancia, ma non se ha la bocca piena di carie oppure se vede male alla lavagna- racconta-. Diverse volte mi e' capitato di vedere arrivare al mio ambulatorio mamme rom o sinte senza appuntamento, perche' il figlio stava male. In quel momento, il loro bisogno era piu' forte di quello di altre mamme che erano in fila: il nostro dovere e' di accettare in ogni caso di visitare il bambino, cercando di sfruttare al massimo il tempo della visita, non solo per curare, ma anche per fare un po' di prevenzione, provando a cogliere piccoli segnali che in futuro potrebbero diventare malattie".
I dati raccolti dall'Istituto degli Innocenti in merito ai 500 bambini rom e sinti beneficiari del progetto nazionale Pon Rsc danno un quadro del contesto in cui vivono questi ragazzi: il 30% di loro non ha la residenza, il che li esclude da alcuni servizi sociali come il medico di base, mentre il 40% non ha un pediatra di riferimento. Per quanto riguarda le condizioni abitative, il 40% dei bambini vive in campi, il 20% e' senza acqua corrente, elettricita' ne' gas, mentre l'11% non ha il bagno in casa. Ecco allora che la visita dal pediatra diventa un momento importante per controllare la situazione sanitaria del bambino e fare educazione alla salute, parlando delle regole per una corretta alimentazione e controllando l'adesione al programma vaccinale. "È importantissimo vaccinare il bambino anche se gli intervalli di tempo sono superati: le vaccinazioni salvano davvero la vita- spiega Biancalani-. E poi, per comunicare al meglio, noi pediatri dobbiamo cercare di usare un linguaggio semplice e di rispettare le usanze della famiglia: se riusciamo a conquistare la fiducia dei genitori, i pazienti ci seguiranno nel percorso che, con calma e con rispetto, vogliamo portare avanti".
(Red/ Dire)