Optimal Outcome apre a nuove visioni. Ecco prima ricerca in italia
Roma, 12 apr. - Nell'autismo la parola d'ordine e' la complessita'. "Nell'ultimo Dsm 5 abbiamo assistito ad una piccola apertura con il passaggio alla definizione 'Disturbi dello spettro autistico' che, indicando una sorta di continuum dal caso piu' lieve a quello piu' grave, inserisce il senso di dimensionalita' prima assente. Parlare di autismi ci consente di rispettare l'unicita' individuale e di cominciare a pensare in termini di traiettorie di sviluppo. Per aprirci alla complessita' serve, pero', la rivalutazione degli strumenti antichi da agganciare a quelli nuovi, cosi' da avere un'idea del funzionamento psichico dei soggetti coinvolti nella sindrome".
Parte quindi dalla clinica il convegno romano 'Plasmare la complessita'. Autismo tra mente e corpo', con le parole di Magda Di Renzo, responsabile del progetto Tartaruga dell'Istituto di Ortofonologia (IdO). "Nel nostro approccio evolutivo relazionale a mediazione corporea privilegiamo la dimensione affettivo-corporea nell'intervento, poiche' il corpo e stato il 'grande escluso' nella valutazione dell'autismo. Un fatto grave per qualsiasi teoria dello sviluppo- sottolinea la studiosa- essendo lo strumento elettivo di espressione e di conoscenza del bambino. Le neuroscienze dimostrano, infatti, la validita' delle convinzioni psicodinamiche che avevano descritto i processi che portano alla mentalizzazione. Perche' la conoscenza e' veicolata da vissuti affettivo-corporeo, tanto che il principale disagio dell'autismo- ricorda Di Renzo- si esprime proprio nella dimensione corporea.
Nel corpo vediamo i segni in maniera sempre piu' precoce, ma questa possibilita' non deve portarci alla precocizzazione della diagnosi". La possibilita' di vedere bambini molto piccoli "ci permette di aprirci a nuove visioni. Si comincia a parlare degli optimal outcome- continua la psicoterapeuta dell'eta' evolutiva- ovvero la possibilita' di avere buoni esiti". Ivar Lovaas fu il primo a parlarne nel 1987, ma riguardavano solo i bambini con un Quoziente intellettivo (Qi) nella norma ed inseriti a scuola. Da allora la definizione e' cambiata: "Oltre al Qi, e' richiesta la scomparsa dei sintomi significativi e la verifica di un buon andamento sociale. La studiosa Deborah Fein, dell'Universita' del Connecticut, ha sottolineato poi- aggiunge la psicoterapeuta- che gli optimal outcome non sono legati ad una diagnosi sbagliata.
Una prospettiva rimarcata anche da Stelios Georgiades, dell'Universita' di Nicosia che, oltre alla capacita' intellettiva, considera altri aspetti. Tutto cio' ha portato al cambiamento della percentuale di ritardo, che prima del Dsm 4 era del 75% e ora e' al 40%. È stato, quindi, sopravvalutato l'aspetto cognitivo rispetto agli altri".
Per uscita dall'autismo Di Renzo chiarisce: "Intendiamo l'uscita dal punteggio Ados (test standard dell'autismo) e qui la psicopatologia e' tutta da scrivere. Non bastano piu' le categorie- continua- serve una riflessione sui passaggi che si verificano, serve la conoscenza delle difese del bambino.
L'abbassamento delle difese rende il bambino autistico vulnerabile e determina quegli stati di angoscia che possono dare vita alle diverse manifestazioni mai prese in considerazione dalle diagnosi categoriali". L'IdO ha condotto il primo Fallow up in Italia su 20 ragazzi che avevano terminato la terapia 3, 4, 5 anni prima, riportando un punteggio Ados fuori dall'autismo.
"Ci confrontiamo con dei miglioramenti inaspettati. Abbiamo somministrato a questi 20 soggetti il test Ados 3 basato sulla conversazione e i risultati confermano che tutti hanno mantenuto un punteggio di non autismo.
Un dato importante- rimarca la studiosa-significa che i cambiamenti su cui abbiamo lavorato (che avevano a che fare con dei cambiamenti della relazione) sono stati interiorizzati, permettendogli di affrontare le altre tappe dello sviluppo".
I comportamenti ripetitivi sono risultati assenti e nessuna difficolta' e' stata riscontrata sui gesti descrittivi, cosi' come nel contatto oculare, nell'espressione facciale e nel divertimento condiviso all'interno della interazione. In un solo caso e' emersa una difficolta' nella comunicazione, mentre 12 soggetti hanno avuto delle complicazioni in riferimento al racconto di eventi. Una problematica comune e', invece, emersa nella risposta sociale e nella qualita' della comunicazione reciproca.
"Adesso questi 20 ragazzi come li definiamo?- chiede Di Renzo- La definizione 'Autismo stato residuale' non ci dice nulla, mentre noi vogliamo definire i diversi quadri. Andiamo da un impercettibile disagio, che se non si fosse saputa la precedente diagnosi di autismo non sarebbe mai stato intercettato, a quadri di atipie comportamentali e a difficolta' che possono rientrare in disturbi di tipo relazionali", conclude Di Renzo.
(Red/ Dire)