(DIRE- Notiziario settimanale Minori) Roma, 26 feb. - Il diritto a non parlare di Hillmaniana memoria "va al di la' della fiducia. Indica una relazione tra terapeuta e paziente che tiene conto dello spazio creativo dell'altro". Un sedimento emotivo che tocca temi "molto profondi, relativi alla liberta' individuale che si realizza attraverso una ricerca della propria autenticita'". James Hillmann consegna una "rivoluzione umanistica per i bambini: loro possono essere portatori di un pensiero innovativo, dove l'innovazione e' appunto l'immaginale, e consegna a terapeuti e operatori dell'infanzia la responsabilita' che i bambini possano coltivare lo spazio dell'immaginale". É questo il senso del seminario promosso a Catania dal Centro italiano di psicologia analitica (Cipa) - Istituto per l'Italia Meridionale e la Sicilia, sul 'Diritto a non parlare'.
"Il terapeuta non deve chiudere con delle interpretazioni la possibilita' che ogni soggetto ha di immaginare quello che un malessere puo' diventare. La comprensione di cosa sia per ogni singolo soggetto il malessere apre alla possibilita' di immaginare l'altro. Per agevolare lo spazio creativo altrui abbiamo il diritto a non parlare, come dice Hillman, il diritto e dovere a non mettere nei bambini o nell'altro (i bambini dentro gli adulti) interpretazioni e concetti che chiudano alla comprensione di come un trauma, un sintomo o un malessere possano evolvere". Lo chiarisce Magda Di Renzo, psicoterapeuta dell'eta' evolutiva e responsabile del servizio Terapie dell'Istituto di Ortofonologia (IdO). "Capire prima di giudicare e non capire soltanto con i parametri del linguaggio verbale e della coscienza, significa sottolineare l'importanza del processo di immaginazione e la possibilita' di stare dentro la dimensione immaginale per cogliere quello che il bambino ci sta comunicando, attraverso la sua modalita' di pensiero piu' specifica che e' quella del pensiero non indirizzato ma immaginale", aggiunge.
Se, ad esempio, "il bambino disegna un serpente e noi pensiamo immediatamente alla madre cattiva, traduciamo questa immagine in un concetto perdendo tutto il contenuto di quel serpente. Non sappiamo piu' se era benefico, velenoso o se portava buone notizie. La necessita' che l'adulto ha di tradurre istantaneamente il concetto fa correre il rischio- rimarca Di Renzo- di chiudere in un'etichetta i comportamenti dei bambini. Questo vale sia per il bambino reale, che per il bambino che abita l'adulto che comunque ha bisogno di essere compreso. Si tende a interpretazioni standardizzate, in tempi sempre piu' rapidi che non aiutano a leggere cio' che sta tra le righe- conclude- le pause e i silenzi come parti determinanti della vita".
(Wel/ Dire)