(DIRE- Notiziario settimanale Minori) Roma, 19 feb. - "Ho tre case famiglia e in 16 anni ho accolto circa 250 minori dai 14 ai 18 anni provenienti da diversi paesi: Bosnia, Serbia, Romenia e una percentuale minore di Rom italiane. Il 70% di queste ragazzine era poco e male scolarizzata". Da anni di valutazioni psicodiagnostiche Vittoria Quondamatteo, psicoterapeuta sistemica e fondatrice, nonche' responsabile legale, dell'associazione 'Il Fiore del deserto', ha maturato una riflessione: "L'adolescenza, in quanto fase evolutiva di transito, non esiste nelle popolazioni Rom. Passano dall'essere bambini all'essere adulti e il passaggio e' sancito dal rito del matrimonio, che vivono come rito di iniziazione dove per molte donne la scelta del fidanzato e' determinata dal padre e dal clan familiare".
La dimensione "trasgressiva che permette all'adolescente di differenziarsi dal clan, e quindi dalla famiglia, non esiste. Non c'e' a livello simbolico la rappresentazione di una possibile trasgressione del mito familiare ed e' forte il senso dell'appartenenza proprio perche' il concetto di inconscio collettivo ha un significato maggiore nella cultura Rom. L'Io esiste- spiega la psicoterapeuta- in virtu' di quest'appartenenza, e se esiste in quanto appartenente non puo' accedere a una dimensione altra. Da qui la loro impossibilita' ad individuarsi. Vivono in una sorta di ambivalenza: desiderano individuarsi quando entrano in contatto con circuiti di accoglienza che prevedono percorsi mirati alla riabilitazione (dal reato alla scuola)- precisa Quondamatteo- pero' questa richiesta di aiuto non dura nel tempo perche' il richiamo dell'etnia e' talmente forte e incastrante che qualsiasi possibilita' 'diversa' porta con se' il tradimento. Loro stesse non si sentono di esistere se contrastano le tradizioni familiari- spiega la terapeuta- perche' uscire dalla tribu' significa tradire il mito familiare".
Gli adolescenti Rom accedono alla scuola con gravi difficolta' o dopo essere passati per i circuiti devianti, per questo "e' difficile ipotizzare che una ragazzina che accede a percorsi scolastici si integri poi con i coetanei italiani. Certo, il confronto in alcuni casi esiste ma e' limitato. Pensiamo, ad esempio, alle ragazzine che vengono dal campo di Pomezia. La realta' di Roma, con lo sgombro dei campi, la loro collocazione in estrema periferia, spesso priva di mezzi di trasporto, e' molto diversa da quella di altre citta' dove vi sono situazioni di maggiore integrazione- ricorda la fondatrice di 'Il fiore nel deserto'- A Pomezia c'e' una situazione igienica assurda. Immaginiamo allora una giovane che va a scuola in ritardo per la distanza, spesso senza essersi potuta lavare, comunque tutti sanno che viene dal campo. L'integrazione diventa un'utopia. Un tentativo esiste per lo piu' grazie al privato sociale che gestisce i centri diurni- precisa la psicologa- o attraverso le borse lavoro ma il nodo resta: questi cambiamenti non assumono una dimensione stabile nel tempo, manca la continuita'".
- È POSSIBILE PENSARE A UN INTERVENTO EDUCATIVO AD HOC? "Andrebbe realizzato un intervento di prevenzione e formazione all'interno dei campi. Mi chiedo come mai, in questi anni in cui si e' lavorato per i Rom, non sia nata a Roma nemmeno una associazione Rom che abbia lottato per riaffermare i diritti di appartenenza. Dobbiamo fornire strumenti di formazione all'interno del campo- consiglia l'esperta- rendendo la famiglia parte attiva del processo di cambiamento, affinche' lascino andare i figli a scuola. Occorre pero' una dimensione di riconoscimento dei diritti che al momento non c'e'".
- che puo' fare la scuola? "Una scuola piu' accogliente vuol dire aiutare e pretendere la frequenza. La scuola ha una responsabilita' etica e sociale, e deve segnalare alla Procura i Rom che non vanno a scuola. Il rischio- avverte Quondamatteo- e' guardare al fenomeno Rom con una dimensione collusiva, affascinati da alcuni aspetti interessanti della loro tradizione rituale. Questi minori devono andare a scuola quotidianamente come tutti gli altri ragazzini e, nella scolarizzazione, devono essere aiutati con sostegni didattici per essere al livello degli studenti italiani. Quello Rom non e' un mondo a parte, si puo' trovare anche li' un disturbo dell'apprendimento o un deficit d'attenzione (Come stile di vita tollerano poco la frustrazione di stare seduti in classe per oltre 4 ore di seguito), se sostenuti e non etichettati, sono ragazzini che possono fare molto. Probabilmente bisognerebbe dare una maggiore formazione e competenze interculturali agli insegnanti per metterli nella condizione di sviluppare dei piani formativi adeguati- conclude- facendo un lavoro di integrazione con le famiglie".
(Wel/ Dire)