MINORI. L'attaccamento è come il respiro, è istintivo
65% sono sicuri, 35% insicuri di cui 10% ambivalenti
(DIRE - Notiziario Minori) Roma, 6 feb. - Non c'è scelta. L'attaccamento è come il respiro e si sviluppa sempre per rispondere a un bisogno di protezione e sicurezza.
"Nessuno di noi può smettere di bere o respirare, anche se siamo in un ambiente inquinato e le conseguenze saranno dannose. Fa parte del nostro comportamento istintivo". Lo chiarisce subito David Oppenheim, ex presidente del dipartimento di Psicologia e membro senior del 'Center for the study of child development' dell'Università di Haifa, all'apertura della due giorni di studio dell'IdO a Roma su 'Attaccamento e autismo: l'importanza dell'insightfullness genitoriale'.
"Sebbene tutti i bambini si attacchino ai genitori, questi ultimi sono diversi gli uni dagli altri- prosegue il professore- e bisogna dunque osservare le strategie adattive che i piccoli mettono in atto nella relazione: se, ad esempio, percepiscono il caregiver come distante, potranno mostrarsi autonomi, o cercare di attirare continuamente la sua attenzione lamentandosi e piangendo".
DIFFERENZA TRA COMPORTAMENTO E RELAZIONE DI ATTACCAMENTO - Il comportamento di attaccamento è ogni atto che avvicina il bambino alla madre: un abbraccio, lo stare accanto. Emerge in una condizioni di disagio del minore, quando si sente insicuro e stressato. La relazione di attaccamento indica invece la dimensione qualità.
IL 65% DEI MINORI HA UN ATTACCAMENTO SICURO, IL 35% INSICURO - Assodato che tutti i bambini sviluppano un attaccamento, bisogna capire se esso sarà sicuro o insicuro. "Il primo vede i minori usare la prossimità dei genitori per sentirsi protetti- spiega Oppenheim- mentre il secondo riguarda la soluzione adattiva che il piccolo adotta per stare vicino a un genitore che si mostra meno sensibile ai suoi bisogni".
I due terzi dei bambini, "il 65%, sviluppano un attaccamento sicuro. Il 35% sono gli insicuri- precisa lo studioso israeliano- e si suddividono in evitanti, ansiosi e disorganizzati. Tra gli insicuri ci sono anche i bambini ambivalenti, che corrispondono al 10-15%. Sono ambivalenti perché possono attuare comportamenti di rabbia nonostante cerchino una vicinanza al genitore".
L'attaccamento insicuro non indica "psicopatologia- avverte il docente universitario- è una strategia adattiva. Una madre può sviluppare un figlio con attaccamento sicuro e uno con attaccamento insicuro".
IL CIRCOLO DELLA SICUREZZA - Il caregiver "deve servire da base sicura da cui il bambino si può separare per esplorare il mondo. È un rifugio in cui rintanarsi per ricevere protezione. Si chiama 'circolo della sicurezza'- aggiunge l'ex presidente del dipartimento di Psicologia dell'Università di Haifa- all'interno del quale il minore si allontana dal genitore per esplorare il mondo e vi fa poi ritorno nella ricerca di aiuto. Il comportamento problematico emerge quando non c'è equilibrio tra la fase del rifugio sicuro e quella dell'esplorazione- sottolinea l'esperto- quando il bambino si attarda tra le due dimensioni senza mostrare flessibilità". Il modello sicuro indica quindi un bambino in equilibrio tra le due fasi. Al contrario i minori insicuri "mostrano uno squilibrio: per gli evitanti è difficile tornare alla base sicura e restano nella fase della ricerca.
Quelli ambivalenti hanno invece difficoltà nella fase di esplorazione e restano in quella di conforto". I disorganizzati, infine, "non hanno un'organizzazione definita dei comportamenti. Le loro strategie di adattamento appaiono congelate (freezing)- rimarca Oppenheim- e i movimenti sono rallentati e confusi". CIRCA IL 10% DELLA POPOLAZIONE NORMALE È DISORGANIZZATA - "Circa il 10-15% della popolazione normale attua questi comportamenti disorganizzati- rivela lo studioso- e in un gruppo di bambini maltrattati, analizzati, la percentuale è salita fino all'85%". La stessa difficoltà è emersa "nei figli di madri con vissuti traumatici e irrisolti".
Secondo Oppenheim l'attaccamento disorganizzato è uno dei "pattern più problematici tra quelli insicuri (ansioso e ambivalente). Un gruppo di studiosi di Boston ha approfondito tali comportamenti, rivelando che in adolescenza possono portare all'emersione di sintomi psicopatologici (in termini di rischio eventuale)".
L'ATTACCAMENTO CAMBIA NEL TEMPO - L'attaccamento è flessibile e può cambiare nel tempo, "non riguarda solo l'infanzia e la fanciullezza ma ci accompagna in tutto il percorso della nostra vita. Bowlby infatti sostiene che il mondo interno dei bambini si basa sulle interazioni con i caregiver, e che gli attaccamenti in età precoce sono la base dello sviluppo di quelli successivi". COME SI FA A SAPERE COSA HA IN TESTA UN BAMBINO - "Attraverso degli aggiustamenti continui- ripete lo psicologo- in una sorta di comprensione empatica del caregiver (l'insightfulness), capace di promuovere nel bambino un attaccamento sicuro, perché coglie i suoi segnali".
COME SI VALUTA L'ATTACCAMENTO NEI BAMBINI - Si utilizza la 'Strange situation procedure' (Ssp) per valutare il comportamento del bambino dai 12 ai 18 mesi. Dura 20 minuti e vede interagire in una stanza la madre, il piccolo e una persona estranea, che entra "in scena" dopo pochi minuti e cerca di giocare con il minore. La madre e la persona estranea si alternano nella stanza. "La Ssp introduce elementi di stress per osservare come il bambino si bilancia tra la fase esplorativa e la ricerca di sicurezza. La relazione di attaccamento- sottolinea Oppenheim- si nota dal modo in cui il bambino reagisce all'uscita della madre dalla stanza. I bambini con attaccamento sicuro si riconnettono al loro caregiver quando rientra nella camera, e una volta calmi tornano alla fase dell'esplorazione, ovvero al gioco.
L'ambivalence invece rimane arrabbiato".
CHI NON SVILUPPA ATTACCAMENTO - "Non riescono a sviluppare attaccamento solo quei bambini che non hanno una figura di riferimento unica, ma più figure che vanno e vengono e a cui non riescono ad attaccarsi. In genere però- conclude lo studioso- anche i bambini con genitori abusanti si attaccano".
(Wel/ Dire)
|