(DIRE - Notiziario Minori) Roma, 4 dic. - Tutto è iniziato nel 1999 "quando ho avuto la fortuna di vivere un'esperienza con la disabilità in acqua che mi ha cambiato l'esistenza. Ho incontrato un ragazzo che aveva pochi mesi di vita davanti a sé a causa di una distrofia muscolare. Un percorso che ha scatenato in me un terremoto interiore, tanti sensi di colpa. Mi sentivo più fortunato di lui. La memoria della mia esperienza rendeva difficile il plasmarmi a una persona con un'altra prospettiva di vita rispetto alla mia. Poi un giorno questo giovane mi disse: 'Il racconto della tua giornata mi fa vivere di più'. E da allora, ogni giorno, riprovo a livello mnemonico la conferma emotiva di una trasformazione: siamo noi terapeuti a dover per primi imparare ad aiutare".
Da questa esperienza nasce l'Atdra, l'Approccio terapeutico dinamico relazionale in acqua, "un acronimo che ricorda con quest'ultima parola la sensibilità di accoglienza. L'acqua mi rammenta da dove sono partito e le caratteristiche proprie di un elemento che contiene amplificando e non ingabbiando. L'acqua stimola a 360 gradi il corpo ed è molto efficace nell'autismo, un disturbo che va contenuto". Lo racconta alla Dire Antonio Rinaldi, psicologo clinico, creatore di questo approccio e presidente dell'associazione 'For You Atdra', che ha sede a Livorno. "Ho seguito un centinaio di soggetti autistici, soprattutto dal 2008 grazie a un forte passaparola che mi ha visto accogliere numerose famiglie".
Rinaldi è a Roma in questi giorni per promuovere un corso di formazione dal titolo 'Autismo, consapevolezza e strumenti. Il metodo Atrda'. "Una metodologia applicabile in qualsiasi contesto e con qualsiasi disagio o disabilità", precisa lo psicologo clinico. "Saper lavorare con l'autismo rende possibile il lavoro con tutti gli altri disturbi o disabilità, grazie al suo aspetto pervasivo nelle aree della comunicazione, del comportamento e della relazione. Porta ad avere il massimo dell'attenzione verso il soggetto". L'Atdra è un approccio in "sintonia con il modello evolutivo e relazionale, come il Dir/Floortime".
- COSA LO DIFFERENZIA DA ALTRI APPROCCI? Rinaldi lancia una provocazione: "Nell'autismo la stereotipia è vista come una stigmate patologica, mentre è un punto luminoso, espressione del sé, permette la comunicazione e offre la creazione di un ponte relazionale. Si fa di tutto per distruggerla, annientarla quando in realtà è la persona stessa. Strofinarsi i capelli, mangiarsi le unghie, muovere ripetutamente le gamba, non sono un tipo di stereotipia? Sono allo stesso modo una maniera per comunicare una mancanza di condivisione, di accoglienza, di qualcuno che ci possa stare vicino. Anche noi quando siamo soli abbiamo le nostre stereotipie. Non è così diverso- spiega- se non per il fatto che nell'autismo c'è l'evidenza di una iperstimolazione sensoriale che rende queste stereotipie più evidenti da un punto di vista motorio. Le stereotipie bilanciano l'aspetto, spesso deficitario, di una competenza linguistica. I sintomi non sono da curare ma da accogliere". Un altro assioma dell'Atdra è il coinvolgimento genitoriale, o del caregiver (colui che dà le cure). "Se vogliamo curare una pianta- continua Rinaldi- non possiamo limitarci a bagnare le foglie, ma dobbiamo innaffiare anche il terreno che le sta intorno. Dal punto di vista della formazione e dell'informazione bisogna coinvolgere sempre il genitore e farlo lavorare insieme con il bambino. Nelle sessioni terapeutiche i genitori hanno un ruolo attivo e li consideriamo il fulcro dell'intervento". L'Atdra presuppone una rete. "La famiglia può avere già un neuropsichiatra e un logopedista di riferimento ed è giusto cercare di connettersi con loro per confrontarsi e raggiungere un obiettivo comune. La rete interna della nostra associazione è invece fatta da operatori e coordinatori formati e supervisionati".
- COME FUNZIONA QUESTO APPROCCIO? "Dopo un primo colloquio di conoscenza con la famiglia, strutturiamo un lavoro che inizialmente vuole restituire ai genitori il loro ruolo di 'feedback', di collaboratori. Seguendo questo approccio il genitore inizia a conoscere il figlio e il figlio inizia a riconoscere un genitore che lo apprezza. Ricordiamo che dopo la diagnosi il genitore vive un lutto e purtroppo non è previsto un sostegno verso di lui. Spesso, inconsciamente, chi reagisce con forza, sfugge al suo ruolo genitoriale per diventare portabandiera di associazioni che rivendicano diritti. E nel ruolo di 'guerrieri per la causa' quasi non si accorgono più del loro essere genitori. Noi li riportiamo alla partenza- afferma il terapeuta- per scoprire l'anima e il potenziale del loro bambino, per non partire dai suoi deficit ma dai suoi punti di forza.
Bastano poche sessioni di lavoro per vedere un enorme cambiamento nella relazione. Il bambino viene riconosciuto e trova forza per esprimere il suo potenziale". Nel lavoro con il soggetto autistico "il nostro cavallo di battaglia è l'intervento in piscina. L'elemento acqua è forte per le sue peculiarità- precisa Rinaldi- è un contenitore emotivo. Non insegniamo a nuotare, ma a canalizzare le emozioni e a comunicare. Il picco emotivo è quello da cui iniziamo a lavorare, come ad esempio il picco emotivo dato da un tuffo. Utilizziamo questa simbologia dell'acqua per entrare nel soggetto. Sfruttiamo l'attività dalla forte carica emotiva per costruire competenze comunicative, relazionali e comportamentali come il rispetto delle regole e delle procedure (arrivare con le ciabatte, mettere la cuffia, appendere l'accappatoio). Ricordiamo che una caratteristica del disturbo autistico è l'anticonvenzionalità per eccellenza. Lavoriamo sull'alternanza di turno, la reciprocità e l'attesa". Un ulteriore aspetto dell'Atrda è l'attenzione alla motivazione. "Ciò che viene chiamato rinforzo non è appunto da confondere con il concetto di motivazione. Con i rinforzi insegniamo ai bambini che la vita è come un prostituirsi- aggiunge duramente lo psicologo- ma non è vero che per ottenere 'ciò che per me è motivante devo fare obbligatoriamente qualcosa che tu mi chiedi'. Il genitore spesso può trovarsi in confusione. Gli approcci comportamentali chiedono alla famiglia che cosa interessa al bambino, per poi usarlo come riscatto. Questo provoca frammentazione all'interno del soggetto, frustrazione e sofferenza".
Rinaldi tiene a sottolineare che la "persona autistica impara e pensa associando, e matura una frustrazione nell'associare qualcosa di positivo per lui, a qualcosa che possa essergli richiesto ma che avverte come estremamente negativo. Da qui nasce una sofferenza e un continuo pensare di esser sbagliato, incapace, cattivo". L'interesse del ragazzo o del bambino "deve diventare l'interesse primario del terapeuta. Siamo noi che dobbiamo plasmarci a lui. Non bisogna puntare esclusivamente sulle performance, su un'unica lettura del soggetto che debba dimostrare un alto o basso funzionamento, ma sull'ascolto- conclude- l'autismo è un modo di essere e per certi aspetti è meraviglioso e correlabile ad un grande potenziale".
Per avere informazioni sul corso di formazione scrivere a: atdraaiuto@gmail.com.
(Wel/ Dire)