(DIRE - Notiziario Minori) Roma, 10 ott. - Come ci parla una citta' quando impariamo a leggere? La citta' e' satura, normata, iperregolata, le didascalie che abbiamo messo alle cose sono queste - divieti, cartelli, orari, regole di utilizzo - e gli oggetti e i simboli - semafori, separatori del traffico, strisce pedonali, ecc. - parlano lo stesso linguaggio, evocano una selva di regole da apprendere.
Guido Martinotti diceva a lezione che il traffico 'e' il piu' grande esperimento di divisione del lavoro della modernita'': quando sorvoli una metropoli in prossimita' di un atterraggio con l'effetto ralenty della visione dall'alto ti colpisce la compostezza e l'ordine dei movimenti, soprattutto se penso all'inferno che e' ad altezza uomo, forse ancor piu' per me che giro in bicicletta. Ma quella divisione, quella compostezza, quell'equilibrio in regime di traffico automobilistico si paga in cartelli, regole e divieti, in un regime spietato di attenzione, proprio come in fabbrica. Cosi', quando ti affacci da bambino alla citta', tutto e' molto complicato, sembra uno spettacolo 'vietato ai minori': dovrai stare attento a tutto, ci avrai messo meno tempo ad imparare a camminare in casa che a farlo fuori. Non e' solo lo spazio urbano a risultare estremamente 'normativo e prescrittivo', quasi tutti i luoghi che si frequentano da bambini e da ragazzi sono fatti cosi', rigidamente regolati, immodificabili, pensati per adulti immobili e seri, alieni al gioco e al movimento che invece avresti come disposizione naturale a quell'eta'. Mentre le merci e fra queste i nuovi giocattoli provano a fare a meno dei fogli di istruzioni, rendersi fruibili all'istante nascondendo la loro complessita' tecnologica, l'ambiente urbano e' impenetrabile, immodificabile e severo - in un parco giochi all'ingresso c'e' scritto cosa non puoi fare - sembra spesso pensato piu' per le automobili che per i pedoni. Non sara' che questo finisce per alimentare un'infanzia consumista perche' reclusa nella cattivita' domestica? Davvero non e' possibile una cittadinanza praticabile da piccoli? Ci proviamo, con Paolo e altri genitori e assessori sensibili a questi temi, alla scuola media di Olginate, provincia di Lecco, durante una tre giorni dal sapore libertario. Una mattinata, 130 ragazzi e ragazze, sullo sfondo la Convenzione dei diritti dell'Infanzia di New York come riferimento, perche' l'art.12 sentenzia il diritto ad esser consultati per cio' che li riguarda e l'Italia l'ha ratificata nel 1991. Cominciamo col puro gioco di immaginazione, vogliamo rompere il ricatto del quotidiano, 'spegnere la luce' per riuscire a vedere altro da quel che c'e': lo facciamo trasformando la citta' proiettata come immagine ripresa dall'alto attraverso Google Earth sul muro, ci diamo la liberta' di farlo scrivendo sui post it cosa cambiare e come, per poi appoggiarli in corrispondenza dell'immagine videoproiettata. E' evidentemente anche una lezione al contrario, perche' il difetto di realta' dei dispositivi didattici che li rende cosi' inefficaci all'apprendimento - a scuola e' tutto a due dimensioni perche' cosi' sono lavagne, quaderni e muri, mentre la realta' e' in 3D, 'la mappa non e' il territorio' diceva Bateson - lo giriamo a nostro favore: e' piu' facile immaginare il nuovo su di un foglio o una fotografia, mentre e' per conoscere la realta' che non bastano le due dimensioni. La citta' immaginata diventa una prateria di verde e di gioco, nascono campetti e una piscina, la scuola subisce parecchi colpi: la chiave di lettura e' semplice, l'infanzia chiede l'aperto, non vuole edifici ma prati e campi, la forma piu' istintiva di cittadinanza e' il gioco all'aperto, che qui non si esplicita quasi mai come richiesta di infrastrutture ma di spazi liberi.
Quanti Piani di Governo del Territorio in Italia hanno accolto questo principio ispiratore? Intanto viene in mente 'Il bambino e la citta'' di Colin Ward, in cui si spiega come lo spazio ideale di gioco all'aperto sia il semplice mucchio di sabbia, modificabile e utilizzabile in mille modi, proprio perche' privo della carica prescrittiva di molti altri giochi e di tutti i giocattoli. L'antropologo Appadurai fa notare che il difetto della cultura e' quello di concentrarsi sul passato, di proporsi come una rassegna di cose e opere gia' avvenute e gia' fatte, mentre il futuro e' stato lasciato all'economia. Ed e' vero che a scuola si parla del passato, raramente del presente, mai del futuro: potra' mai funzionare questo sistema con chi biologicamente e' proiettato sul futuro e vive il presente con enorme enfasi per l'ovvia ragione che molto di cio' che vive e' nuovo? Perche' non mettere a tema nella scuola aspirazioni, progetti, desideri, intenzioni e tensioni di ragazzi e ragazze? Cosi', dopo l'esercizio di fantasia precipito nella realta', in classe introduco il tema dei diritti: racconto del senso di ingiustizia provato molte volte alla loro eta', per esempio quando si trasformo' il cortile dove abitavo in parcheggio e nessun bambino del palazzo pote' piu' scendere a giocare a pallone. L'invito e' a proseguire l'incipit 'Non e' giusto che…': ragazzi e ragazze si illuminano, si vede subito che e' come aver tolto un tappo, tutti i bambini hanno dentro il segreto dell'ingiustizia patita, in un attimo il pannello si riempie di post it. C'e' di tutto, l'enciclopedia dell'ingiustizia patita ha toni e temi molto vari: c'e' il solito accanimento contro la scuola - che dura troppo, che ha intervalli troppo brevi, che costringe sempre ai compiti, ecc. - e tutto questo non sorprende ma nemmeno esenta dall'interrogarci sulla coazione dell'infanzia ad un luogo cosi' poco amato. C'e' il rammarico sulle cose che non funzionano nella citta' oppure su quelle che mancano, ma in generale si lamenta l'impossibilita' di qualcosa: non si puo' giocare a scuola perche' la palestra e' da sistemare e nemmeno fuori perche' le auto passano da ogni strada o non ci sono campi da gioco, non si puo' viaggiare perche' costa troppo, ecc.
Ma altre fra quelle ingiustizie additano cose che si prestano ad un'interessante presa di consapevolezza: se non e' giusto che le strade siano sporche ci chiediamo chi le sporca non perche' non siano state pulite, e pure le macchine che impediscono di giocare c'e' la possibilita' che siano quelle della propria famiglia. Il gioco funziona, sono i ragazzi stessi ad accorgersi nel dibattito che molte cose dipendono da loro.
Lettera alla mia citta'Il finale dell'esperimento richiede la catarsi, cosi' propongo una sorta di messaggio in bottiglia per il sindaco, Rocco, con il quale i patti sono chiari, anche perche' lui di educazione si occupa: quella sera in citta' ci sara' una sala con un'installazione particolarissima, 130 lettere appese ai fili con mollette, genitori, insegnanti e chiunque altro potra' leggerle, col sindaco e tutti quanti ci ragioneremo tutta la sera, insieme, per assumerci la responsabilita' delle risposte.
Ma intanto la mattina i bambini scrivono, le lettere sono piu' indulgenti della grida di ingiustizia, l'incipit del 'Cara Olginate…' umanizza la relazione, si perdonano i difetti, si danno raccomandazioni, si dichiara il proprio legame, il proprio amore. Perche' a 12 anni la citta' cominci a viverla, alle scuole medie spesso ci vai da solo, percorri le strade, cominci ad avere luoghi di ritrovo con gli amici, e allora ti accorgi se e' pulita, se e' sicura. Ma il legame e' con la natura, le lettere sono un coro a difesa del verde e dell'acqua, se vuoi dare un habitat per l'infanzia e' chiaro cosa devi fare e non fare. A fine serata, mentre guardi la scuola che si svuota, ti viene in mente che sicuramente quelle aule saranno in periodo elettorale sede di seggi e proprio in quei giorni gli alunni non potranno andarci, il rito delle elezioni li esilia, cosi' che per loro sara' sinonimo di vacanza. Che strano, e' un mondo alla rovescia, pero' con post it, fogli e mollette si puo' raddrizzare un po'.
(www.redattoresociale.it) (Wel/ Dire)