Ne parla Marcello Lanari, direttore della rivista 'Conoscere per crescere' (Sip)
(DIRE - Notiziario Minori) Roma, 21 feb. - "Quando studiavo medicina (non sono giovane, ma neppure in età da pensione) ci veniva insegnato che il dolore era una risposta fisiologica a stimoli 'nocicettivi' o a un danno di un organo o di un tessuto e, come tale, era ineluttabilmente connesso alla malattia, che andava dunque curata nella sua globalità e il dolore sarebbe passato. In realtà questa nozione non è totalmente smentita, ma è avanzato, contestualmente ai progressi della farmacologia e della neurofisiologia (e forse anche ad una visione della vita come non necessariamente positiva, solo se scandita da prove dolorose) il concetto che il dolore vada gestito come tale, indipendentemente dall'evoluzione della malattia". Lo scrive Marcello Lanari, pediatra e direttore scientifico della rivista 'Conoscere per crescere' della Società italiana di pediatria (Sip).
"I progressi sempre più accelerati della medicina hanno stravolto in questi ultimi decenni l'evoluzione di molte patologie, e malattie fino a pochi anni fa inguaribili ora lo sono, popolando la nostra realtà di ex portatori di tumori, di malattie congenite ed ereditarie, di ex neonati prematuri. Molte di queste persone tuttavia, pur sopravvivendo restano inguaribili, ma non devono restare incurabili. Non è un gioco di parole- afferma il pediatra- ma la consapevolezza che questi individui, portatori di bisogni speciali connessi alla propria malattia (cura della sofferenza compresa, anche psicologica), hanno diritto a cure ad hoc fino alla fine della loro vita, fornite dai loro curanti, supportati da specialisti e strutture preparati in quelle che si chiamano 'cure palliative' (Cp)".
Quando Lanari studiava pediatria, "nessuno dei miei testi trattava del dolore del bambino. Questo è (parzialmente) spiegabile dal fatto che si riteneva che i neonati e i bambini piccoli, a fronte di una presunta immaturità del sistema nervoso, non provassero dolore come l'adulto. Non riuscendo questi ad esprimerne in modo compiuto l'intensità e le caratteristiche, si riteneva in maniera superficiale e forse anche un po' cinica, che prevalesse la paura e che fosse soprattutto quella a farli piangere, gridare, ribellarsi alle cure. A questo concorreva il fatto che poi, per il loro bene, 'se si doveva fare, si doveva fare!' . La tenera età e l'inconsapevolezza avrebbero contribuito a far dimenticare l'esperienza dolorosa".
Alla luce delle "nuove conoscenze di neurofisiologia e grazie a una serie di strumenti capaci di misurare il dolore nel bambino, anche se neonato, oggi sappiamo che- spiega il medico- secondo un programma evoluzionistico che impone al nostro sistema nervoso di sviluppare le facoltà nocicettive in maniera prioritaria, persino il feto o il nato di età gestazionale bassissima percepiscono il dolore intensamente, forse più dell'adulto. Sappiamo anche che stimoli dolorosi e protratti in età evolutiva possono imprimere modificazioni negative e indelebili al nostro sistema nervoso e alla nostra psiche".
La dimensione del problema, secondo Lanari, "è ampia poiché si stima che almeno l'80% delle patologie pediatriche che richiedono il ricovero presentino associata una qualche manifestazione dolorosa e che il dolore si associ frequentemente alle più banali problematiche gestite a livello ambulatoriale. Ciononostante, troppo spesso si è ancora impreparati a trattarlo in maniera efficace e integrata, specie se cronico e intenso, e ancor più a gestire eventuali Cp, spesso erroneamente demandate ai medici dell'adulto. Il bambino ha peculiarità biologiche, sociali, emozionali, psico-relazionali che lo rendono assolutamente diverso da qualunque individuo adulto, con fabbisogni speciali che si riverberano fortemente sulla famiglia. Può forse suonar strano sentir parlare di Cp per il bambino, ma purtroppo, anche se triste, queste sono una realtà assolutamente necessaria".
Il direttore scientifico di 'Conoscere per crescere' prosegue ricordando che "circa la metà delle patologie che necessitano di queste, infatti, originano già nel periodo feto-neonatale (un quarto per esiti di gravi condizioni peri-neonatali e un restante quarto per gravi malformazioni congenite e/o malattie cromosomiche e genetiche complesse). Malattie neurologiche e tumori contribuiscono a determinare la maggior parte dei restanti casi, cui si aggiungono quelli derivanti da una amplissima miscellanea di altre condizioni, per un totale di oltre 1.100 morti/anno. Nel nostro Paese il percorso per il riconoscimento delle Cp pediatriche risale al 2006, e ad oggi poche regioni hanno attivato formalmente una rete per la terapia del dolore e le Cp pediatriche, presenti in 4 Regioni (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Basilicata), in via di organizzazione in 5 (Trentino, Marche, Puglia, Campania , Calabria), con un unico Hospice dedicato esclusivamente al paziente pediatrico a Padova e uno in via di realizzazione a Bologna. Il seme però è lanciato- conclude Lanari- e la cultura all' attenzione e alla prevenzione del dolore nel bambino, nonché dei suoi bisogni nelle gravi patologie invalidanti e inguaribili sta rapidamente germogliando".
(Wel/ Dire)