(DIRE - Notiziario Minori) Roma, 6 set. - "E' stata una sorpresa imparare a coltivare in Italia. Avevo studiato agricoltura per tre anni in Bangladesh, qui la temperatura e' diversa, ho imparato a curare le rose e mi piace molto. Se trovo lavoro posso avere anche il permesso di soggiorno". Mohamed e' uno dei 70 ragazzi coinvolti nel progetto di formazione di orticoltura biologica per i minori autori di reato, realizzato nell'ultimo anno da AIAB (Associazione Italiana Agricoltura Biologica) in collaborazione con il Dipartimento per la Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia.
L'esperimento e' stato quello di realizzare sei orti biologici in altrettanti istituti penali per minorenni, e offrire a ragazzi detenuti e in esecuzione penale esterna la possibilita' di apprendere i primi rudimenti dell'agricoltura biologica, imparare a coltivare la terra, scoprire un possibile percorso professionale. Mohamed e altri tre ragazzi si sono appassionati, intraprendendo anche un percorso di inserimento lavorativo. "Gli irriducibili", di definisce Donato Silvestri, agronomo esperto di biodiversita' che ha seguito il progetto: "Finito il corso hanno continuato a curare le loro piante".
LE FINALITA' - Fra gli obiettivi vi e' proprio quello di far misurare i ragazzi con la fatica, l'impegno e la costanza del lavorare la terra. "E' fondamentale la dimensione della continuita' e della ricerca della qualita', per ragazzi abituati a vivere alla giornata e senza una prospettiva a lungo termine" - spiega Giuseppe Centomani, del Centro per la Giustizia Minorile di Napoli. Piu' che la prospettiva lavorativa, difficile da realizzare in pochi mesi di corso, e' infatti l'elemento educativo e sociale quello messo in luce da tutti i soggetti coinvolti, che si sono ritrovati a discuterne in un workshop alla Citta' dell'Altra Economia a Roma. "Sono tre i destinatari di questo progetto - spiega Aldo Milea, coordinatore -: innanzitutto i minori autori di reato, cui si da' un possibile punto di vista diverso sulla realta' e sulle prospettive future. Anche tutti gli operatori che ruotano intorno (educatori, guardie penitenziarie, psicologi) scoprono cosi' il valore 'trattamentale' dell'agricoltura, che avvicina le persone e le responsabilizza. Infine c'e' tutto il mondo agricolo, le imprese, che scoprono di poter inserire i ragazzi in un percorso di inserimento lavorativo".
LE ESPERIENZE - "E' stata una vera festa raccogliere le prime quattro cassette di lattuga - racconta Antonio Di Lauro, che ha seguito i ragazzi ad Airola, nel beneventano -. Molti di questi ragazzi sono gia' padri, poter mandare in dono alla famiglia il prodotto concreto del proprio lavoro e' una forma di riscatto.
Sono giovani svantaggiati per le condizioni sociali, ma non dal punto di vista fisico: quando usciranno dovranno decidere come mantenersi, guadagnando di piu' col crimine o trovando un lavoro che dia loro dignita'". In quella zona la tradizione agricola e' forte: "Bisogna puntare su cavalli vincenti, l'agricoltura biologica, anche in questo periodo di crisi, segna una crescita costante". Il legame col territorio e' sottolineato anche da Giovanna Tarantino, che ha seguito il progetto in Sicilia, a Palermo: "Nella nostra regione l'agricoltura e' stata in parte abbandonata a se stessa, mentre ha un valore anche nella cultura dell'alimentazione e del benessere sociale".
Il Protocollo d'Intesa fra Aiab e Ministero della Giustizia e' nato nel Lazio nel 2010. Gli istituti coinvolti a Roma sono due: Casal del Marmo e l'Itca Borgo Amigo'. Serenella Pesarin, della Direzione Generale per l'Attuazione dei Provvedimenti Giudiziari del Dipartimento Giustizia Minorile, sottolinea l'importanza di un approccio "non caritatevole, ma di formazione" di questo progetto. Maria Teresa Spagnoletti, Magistrato di Sorveglianza presso il Tribunale per i Minorenni di Roma, racconta come a Casal del Marmo, con ettari di terreno a disposizione, ci siano gia' molti laboratori tutti a carattere pratico, dalla falegnameria, alla pizzeria alla fattoria. "Ma credo che il breve tempo che i ragazzi passano in istituto, due o tre mesi, si accordi poco con il progetto di orto, che puo' essere invece un ottimo percorso se coerente con il progetto di reinserimento sociale delle misure alternative".
All'Aquila le comunita' coinvolte sono state quelle dell'area penale esterna, perche' l'Istituto e' ancora chiuso dai danneggiamenti del terremoto. "Le lezioni teoriche si sono scontrate col fatto che molti dei ragazzi non sapevano l'italiano - racconta Donato Silvestri -, il terreno era all'ombra, disastroso, un tempo terribile, freddo e piovoso, ma abbiamo ricevuto i semi degli agricoltori della zona, i ragazzi hanno tirato su cicerchie, peperoni a corno di Sulmona, hanno scoperto il valore della biodiversita'". Nell'Istituto di Pontremoli, dove arrivano ragazze da ogni parte del nord Italia, l'orto non c'e'. "Abbiamo fatto le coltivazioni nei vasi - spiega Daniela Giustiniani -, ma se l'obiettivo era la cura, soprattutto considerando che molte delle ragazze sono gia' madri, ha funzionato certamente: hanno chiesto il permesso di portarsi le piante in cella, e continuano a coltivarle".
LE PROSPETTIVE - "Non e' cosi' per tutti - spiega Anna Ciaperoni, responsabile Agricoltura Sociale dell'AIAB -, le reazioni dei ragazzi sono state varie, cosi' come le risposte ai questionari. C'e' chi ha apprezzato di essersi fatto degli amici, chi vuole tornare all'orto a vedere come stanno le piante, molti vorrebbero piu' pratica e meno teoria". Senza dubbio questa prima esperienza ha aperto la strada per una collaborazione sempre piu' stretta con le Istituzioni e la possibilita' di fare rete.
Qualcosa sembra gia' muoversi, dalle parole di Sonia Ricci, Assessore all'Agricoltura, Caccia e Pesca Regione Lazio, che ha individuato alcuni fondi residui della Regione Lazio da mettere a bando in tempi brevi.
(Wel/ Dire)