IN ALBANIA, DOVE IL KANUN AMMETTE L'OMICIDIO DI BAMBINI
SERVIZIO CIVILE, VOLONTARI IN ALBANIA, PER CAMBIARE LA REALTÀ
(DIRE - Notiziario Minori) Roma, 23 set. - Vivere tra quattro
mura senza poter uscire, letteralmente tappati in casa. Niente
scuola per i bambini.
Niente medico qualora servisse. Neanche una passeggiata o un
pomeriggio passato a giocare nel cortile. E' questa la
quotidianita' di quanti vivono con l'incubo della vendetta di
sangue in Albania, una pratica che deriva dal codice locale di
leggi non scritte, il Kanun, che ancora oggi coinvolge diverse
persone in un territorio che e' a pochi chilometri dall'Italia.
Il Kanun, infatti, stabilisce per chi ha subito l'uccisione di un
parente, la possibilita' di vendicarsi sui maschi della famiglia
allargata dell'omicida fino alla terza generazione. Una pratica
che ancora oggi miete vittime dirette e indirette e che non
riesce ancora a scomparire tra le regole delle comunita' di
alcune zone dell'Albania. E' questo il contesto in cui andranno
ad operare i 6 giovani volontari che parteciperanno al bando
dell'Ufficio nazionale del servizio civile riguardante la prima
sperimentazione della Difesa civile non armata e nonviolenta, un
progetto che verra' realizzato grazie al lavoro dell'Associazione
"Comunita' Papa Giovanni XXIII", della Caritas italiana e del
Focsiv.
Progetto che poggia sull'esperienza maturata dai Caschi bianchi
dell'associazione Papa Giovanni XIII nelle zone di conflitto
grazie ai tanti progetti portati avanti in diverse aree del mondo
e che non punta soltanto alla tutela di quanti vivono sotto
minaccia, quanto a creare percorsi virtuosi di riconciliazione
senza l'uso delle armi e della violenza. "Il progetto mira
principalmente ai percorsi di riconciliazione - spiega Nicola
Lapenta, responsabile per il Servizio civile dell'associazione -.
Abbiamo un'esperienza maturata nel campo dei conflitti e degli
interventi civili e sappiamo costruire relazioni in una
situazione di conflitto produce risultati in termini di
trasformazione del conflitto". Tra gli obiettivi anche quello di
approfondire il fenomeno della vendetta "per favorirne la
conoscenza e contribuire anche ad una modellizzazione
dell'intervento in modo che possa essere utile alla riflessione
sugli interventi civili in zone di conflitto e alla realta' del
servizio civile". L'intervento vedra' coinvolte tra le 30 e le 50
famiglie, oltre 200 persone costrette a vivere in casa,
concentrate nella provincia di Scutari e nella zona delle
cosiddette alpi albanesi. Ma il fenomeno, spiega Lapenta, in
realta' e' molto piu' esteso. "Si tratta di un problema che viene
spesso sminuito come marginale e non rilevante - continua -,
quando invece sono tante le persone a cui e' negato l'accesso ai
diritti umani fondamentali". Le quattro mura domestiche diventano
cosi' per molti una prigione, anche se l'unica salvezza.
"L'essere tappato in casa deriva dal fatto che nel corpus del
Kanun la casa e' considerato quasi un luogo sacro e quindi
inviolabile".
Ad essere coinvolti, poi, sono anche i bambini. Anche se, spiega
Lapenta, originariamente il Kanun li escludeva. Oggi, invece, a
pagare sono anche loro, senza aver nessuna colpa. "Non possono
andare a scuola o dal dottore - aggiunge Lapenta -, e non possono
uscire neanche di casa. Per questo si organizzano dei percorsi di
scolarizzazione a domicilio o anche delle attivita' di
accompagnamento". Un fenomeno difficile da comprendere appieno,
anche se accade a pochi passi dall'Italia. Per questo, una parte
del progetto mira a sensibilizzare e coinvolgere la societa'
civile attraverso l'informazione attraverso il sito "Antenne di
pace" (http://www.antennedipace.org/), uno spazio virtuale su cui
i caschi bianchi raccontano i progetti, le realta' nelle quali
operano e la propria esperienza. (www.redattoresociale.it)
(Wel/ Dire)
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