VERIFICA DELLA DIRETTIVA SUL RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE
(DIRE - Notiziario Minori) Roma, 18 nov. - Frodi e matrimoni
falsi da parte dei migranti, ma anche limitazioni strumentali e
richieste eccessive da parte degli Stati membri e cosi' ora la
Commissione europea vuole vederci chiaro sui ricongiungimenti
familiari. L'operazione chiarimento parte da Bruxelles, con la
commissaria Ue agli interni Cecilia Malmstrom che lancia una
consultazione pubblica dal titolo "la vita familiare, un diritto
anche per i migranti, come garantirlo?". Un diritto che non viene
pienamente esercitato in Europa per la tendenza di alcuni Stati
membri a strumentalizzare gli abusi aumentando gli ostacoli alla
ricostruzione di una famiglia da parte degli immigrati.
"Il raggruppamento familiare - ha scritto la Malmstrom in una
nota - permette ai migranti di avere una vita familiare e
contribuisce alla loro integrazione nella societa'". Se
l'obiettivo finale della legislazione europea - in concreto la
direttiva 86 del 2003 - e' questo, non pochi sono gli ostacoli
che si frappongono alla sua piena realizzazione. A dimostrarlo le
statistiche: nel 2000 il 50% dell'immigrazione legale era
costituito da persone che facevano domanda per il
ricongiungimento familiare. Adesso, gli ultimi dati sono del
2010, dalla meta' si e' passati ad un terzo e la percentuale
scende ancora, al 21%, se si prendono in considerazione le
persone che hanno avuto il permesso di soggiorno grazie alla
direttiva 2003/86, in totale 500 mila. Di questo mezzo milione di
permessi rilasciati nel 2010, la parte del leone la fa l'Italia,
con 160.020 ricongiungimenti, quindi la Gran Bretagna, 103.187, e
la Spagna, 89.905.
La Francia, che a inizio del decennio era tra i paesi in testa
nei rilasci di questi documenti, ha visto, grazie alla
restrittiva legge proposta dall'allora ministro degli interni
Sarkozy, scendere in picchiata il numero dei suoi permessi
concessi. Una strada seguita anche dall'Olanda, la prima in
Europa a imporre un test completo per valutare il livello "di
integrazione", una via prevista dalla norma comunitaria, ma
imboccata con fin troppo zelo da parte di qualche paese.
La direttiva Ue del 2003 concede ai parenti stretti di un
cittadino extracomunitario residente in maniera regolare nella Ue
da un minimo di un anno e con "la prospettiva fondata di ottenere
un permesso di soggiorno permanente" di ricongiungersi a lui,
ricostituendo il nucleo familiare. Gli Stati membri possono
esigere che delle altre condizioni siano imposte, come quella di
disporre di risorse sufficienti per tutti, di un'abitazione
adeguata, di un'assicurazione malattia e, questo e' il punto
spesso conflittivo, di sottomettere i nuovi arrivati a delle
"misure di integrazione".
Nell'ottobre 2008, la Commissione Ue presentava un rapporto
sull'implementazione della direttiva e sui problemi riscontrati
nella sua attuazione, su tutti una certa liberta' da parte delle
capitali nell'applicare le disposizioni facoltative, in
particolare sui tempi, troppo larghi, del ricongiungimento e
sugli obblighi imposti per dimostrare di potersi integrare. "Gli
Stati membri - spiega ora Malmstrom - sono invitati a descrivere
e quantificare i problemi che dicono di trovare in materia di
abusi delle regole attuali".
Piu' in concreto Bruxelles vuole chiarire alcuni aspetti concreti
della direttiva. In primo luogo a chi va applicata la norma (come
considerare il nucleo familiare, se stretto o allargato o cosa
fare in casi critici, come i matrimoni forzati) e quindi le
condizioni imposte per concedere il raggruppamento (chiarire le
"misure di integrazione" che gli Stati possono applicare e
definire quali favoriscono realmente l'integrazione e quali sono
solo degli ostacoli al raggruppamento). Infine come prevenire
eventuali frodi o matrimoni di compiacenza e come tenere
giustamente in considerazione l'interesse superiore dei bambini.
(Pic/ Dire)