5 ANNI FA UNA VICENDA SIMILE A QUELLA DI YEABSERA A LAMPEDUSA
(DIRE - Notiziario Minori) Bologna, 29 mar. - Oggi si racconta la
storia di Yeabsera, cinque anni fa c'era "Ulisse". Oggi come
allora, la storia e' identica: quella di bambino nato tra le onde
su un barcone in fuga dall'Africa e diretto in Italia. Era il
giugno del 2006 e la storia 'gemella' a quella del neonato
eritreo sbarcato a Lampedusa se la ricorda bene Marilisa
Martelli, direttore del servizio di Neuropsichiatria
dell'infanzia e dell'adolescenza dell'Ausl di Bologna, oggi
candidata al Consiglio comunale per il Pd: perche' quell'"Ulisse"
giunto dal mare arrivo' fin sotto le Due torri dove e' stato
curato. Mostrando come il "lieto fine" di queste storie non si
decreta solo riuscendo a nascere su un gommone, ma la sfida vera
va vinta crescendo.
I genitori di "Ulisse" erano fuggiti dall'Eritrea per dare a
loro figlio la speranza di un futuro: attraversarono il loro
paese, il Sudan e la Libia per imbarcarsi, con altre 80 persone,
su un gommone diretto a Siracusa. Nei sette giorni di viaggio la
giovane donna partorisce, aiutata da due anziane connazionali. Al
loro approdo, madre e bambino stanno bene, ma sono ricoverati in
ospedale per due settimane per lievi contusioni del piccolo.
All'atto della registrazione della nascita, al bambino non viene
dato il nome, "Ulisse", scelto dai genitori, ma "Luca", piu'
semplice per chi effettuava la registrazione; non gli viene
attribuito alcun luogo di nascita. "Ulisse"-"Luca", arriva cosi'
a Bologna, assieme ai genitori: tre anni e nessun documento che
dica dov'e' nato. La sua famiglia viene poi trasferita a Foggia
in un Cpt dove resta circa cinque mesi, poi torna a Bologna dove
c'e' una forte comunita' eritrea: per circa un anno alloggera' in
una struttura per richiedenti asilo politico, in un appartamento
in comune con altre famiglie.
A Bologna nasce anche la sorella di "Ulisse". Nel frattempo la
famiglia viene trasferita in un alloggio fornito dal Comune. Ma
e' a questo punto che la storia si intreccia con i medici
dell'Ausl: tramite una conoscente, la famiglia bussa al Centro
clinico per la prima infanzia, che ha ambulatori dedicati ai
bambini da zero e tre anni: "Ulisse", infatti, non parlava ancora
ed era aggressivo. E la mamma era disperata: il bimbo, ricorda
Martelli, "comunicava con lamenti continui ed un'espressione
mimica fissa", mentre nella sua mamma cresceva un senso di
depressione; riusci' pero' a dar voce ai suoi vissuti dolorosi e
drammatici: "Solo a questo punto anche per 'Ulisse' fu possibile
iniziare a giocare con la propria madre".
In realta' c'era anche altro. La storia di "Ulisse", spiega
Martelli, mostra come la scelta del nome del bambino "sia in
molte societa' uno dei primi momenti che concorrono al suo
inscriversi all'interno della famiglia, iniziando cosi' il
processo di filiazione: il nome rappresenta per i genitori una
delle prime modalita' per avviare la rappresentazione del proprio
bambino". Inoltre, il cambiamento di nome imposto dal paese
d'accoglienza aumenta "la distanza fra questo bambino, nato in
condizioni cosi' difficili, e i propri genitori, rappresentando
un ulteriore ostacolo al suo inserimento nella storia familiare".
Ad accrescere la vulnerabilita' di "Ulisse" contribuisce anche il
non avere un luogo di nascita: non e' un immigrato ne' un bambino
italiano, e questo ritarda "l'affiliazione da parte della cultura
del paese d'accoglienza in cui andra' a crescere".
Insomma, il caso di "Ulisse", nato in mare da genitori in cerca
di un destino migliore, era quello di un bambino privato fin
dalla nascita anche del senso di identita'. "Sta anche a noi e ai
nostri servizi evitare che le storie di questi bambini, e dei
loro genitori, non si trasformino nel simbolo di una umanita'
senza diritti e senza futuro", sottolinea Martelli anche alla
luce della vicenda di Yeabsera.
In altre parole, al di la' dell'emozione o commozione che
queste vicende possono innescare, "occorre stare attenti a cio'
che questi bambini devono superare anche 'dopo'. Perche' sotto
c'e' sempre un qualcosa che si lacera" e se non lo si coglie e si
ripara, allora questo bimbo rischia di crescere con difficolta'
dello sviluppo. "Bisogna intervenire al momento giusto e credo
che sia giusto dire che a Bologna ci sono servizi che ci riescono
e che l'hanno resa conosciuta per queste sue competenze. Lo dico
anche nel senso di voler sottolineare l'importanza di preservare
i servizi per l'infanzia in un momento storico di riduzione delle
risorse". Cosi' come, aggiunge Martelli, "la storia di 'Ulisse'
dice quanto sia importante la rete formale ed informale delle
istituzioni: i suoi genitori sono arrivati da noi grazie a una
conoscente eritrea impegnata nel volontariato".
(Wel/ Dire)