AFFIDAMENTO, QUANDO SI NASCE E CRESCE IN CARCERE
L'ESPERIENZA DEL PICCOLO MARCO, DI ETNIA ROM
(DIRE - Notiziario Minori) Roma, 4 mar. - Marco faceva disegni
tutti neri. Quando a 2 anni e 9 mesi e' entrato in casa di
Francesco e Paola non aveva mai visto un interruttore della luce.
In carcere l'illuminazione era centralizzata, e dietro le sbarre
anche il mondo naturalmente colorato della mente di un bambino
diventa a tinte scure. Marco era a Rebibbia con sua madre fino a
quando, poco prima dei tre anni, per lui e' arrivato
l'affidamento a Francesco e Paola.
"Dopo qualche tempo, e con l'inizio della scuola materna e la
frequentazione di altri bambini, i suoi disegni sono diventati
colorati".
Capaci di futuro. Francesco, classe 1963 come sua moglie Paola,
collabora con l'associazione 'A Roma insieme' da 10 anni. Sono
una di quelle famiglie che, oltre ogni ostacolo burocratico e
oltre ogni fatica, hanno scelto di aiutare i bambini che vivono
in carcere con le loro madri a essere capaci di futuro. Intessono
speranza, gettano ogni giorno le basi per una societa' migliore.
Con l'associazione di Leda Colombini, da anni prendono in
affidamento nei week end e per altri periodi dell'anno come le
festivita' di Natale e Pasqua i piccoli reclusi a Rebibbia. Il
primo e' stato Riccardo, che il venerdi' sera apriva
l'armadietto, in cella, e preparava il cambio per trascorrere
fuori il week end. "I bambini, tutti, non hanno paura di lasciare
la mamma, capiscono che li riporterai e che la mamma da li' non
si muove".
Marco e' il primo affidamento duraturo per Francesco e Paola: da
8 anni e' con loro, oggi ne ha dieci e frequenta la quinta
elementare. "I primi giorni di scuola materna diede un morso a un
compagno e supero' i bambini in fila con quattro spintoni,
perche' in carcere la sopravvivenza era questa", racconta
Francesco. Ma poi nessun problema, "Marco e' stato sempre
considerato un caso anomalo, un affidamento tranquillo". Con
"genitori naturali eccezionali" (anche il papa' oggi e' in
carcere, ndr), che hanno chiesto loro stessi aiuto per il loro
bambino.
Marco e' bosniaco, di etnia rom. E' sesto di sette fratelli (il
piu' piccolo e' tuttora in carcere con la madre), capisce la
lingua dei genitori ma non la parla. Quando il sabato i genitori
affidatari lo portano, a 75 chilometri da Roma, a trovare
fratelli e cugini, questi lo chiamano "l'italiano" perche' ha
imparato bene la lingua del Belpaese.
Una volta a settimana - ma d'ora in poi una volta al mese perche'
i colloqui sono 4 e sono anche tra coniugi e con gli altri figli
- Marco incontra la mamma. E a meta' marzo trascorrera' 5 ore con
il papa' nell'area verde del carcere. E' lui stesso a chiedere di
incontrare i genitori.
Marco e' esigente nella sua richiesta continua di fiducia.
Racconta Francesco: "Vuol sempre sentirsi spiegare chiaramente
quando lo andro' a prendere, vuole conoscere gli orari e vuole
che siano rispettati".
(WEl/ Dire)
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