PARLA UNO DEI MINORI SOMALI ARRIVATI A BOLOGNA GIORNI FA
(DIRE- Notiziario Minori) Bologna, 15 apr. - Ha passato due
giorni e una notte sul barcone che l'ha portato in Italia,
lasciandosi alle spalle la famiglia e un Paese, la Somalia. Ma -
accennando un sorriso - Mohamed non nasconde la sua contentezza
nel trovarsi finalmente a Bologna, dopo una breve permanenza a
Lampedusa e Agrigento. Con lui sono dieci i minori stranieri non
accompagnati arrivati a Bologna la notte scorsa, e accolti da
polizia e protezione civile. Nel rispetto dell'accordo tra
Governo e Regioni. "Eravamo circa 600 su quel barcone - spiega
Mohamed, 17 anni, che indossa soltanto ciabatte e una tuta
sportiva nera - quasi tutti di origine somala. Tra di noi, molte
donne con bambini piccoli.
Arrivati a Lampedusa siamo stati 'smistati' dalle forze
dell'ordine in varie localita' sparse in tutt'Italia. Io sono
stato mandato ad Agrigento, e li' sono rimasto 3 giorni. Poi,
finalmente, l'arrivo a Bologna...".
Da due giorni Mohamed e' ospite del Centro di solidarieta'
(Ceis), che a Bologna ha sede in via Libia, all'interno del
Villaggio del Fanciullo, e a Bazzano, ed e' diretto da padre
Giovanni Mengoli, prete in prima linea nella tutela di minori
stranieri. E' un fiume di parole Mohamed mentre racconta
l'avventura che l'ha portato qui e non rimpiange certo i centri
di accoglienza di Lampedusa e Agrigento. I "soldiers", come lui
chiama i poliziotti, non hanno avuto buone maniere nei suoi
confronti, e pochi riguardi anche per i minorenni.
"A Lampedusa ci sbattevano le mani sul tavolo per prenderci le
impronte digitali- continua Mohamed- molti ragazzi scappavano dai
centri scavalcando le reti, perche' non volevano essere trattati
come criminali. A Bologna siamo arrivati all'aeroporto in
nottata: qui invece siamo stati trattati bene, e ci hanno subito
portato nei dormitori". Di famiglia povera, racconta di essere il
terzo di 5 fratelli, e dopo la morte della madre una decina di
anni fa, ha cominciato a seguire corsi di inglese per imparare
una lingua che gli permettesse la sopravvivenza in un Paese
straniero. "I miei due fratelli maggiori- spiega- lavorano e sono
sposati. Io ero disoccupato in Somalia ma ho comunque deciso di
imparare l'inglese e partire per l'Italia. I miei fratelli e mio
padre sono rimasti in Africa. A Lampedusa non mi hanno concesso
una telefonata, ma appena arrivato a Bologna, mi hanno fatto
chiamare a casa, e ho potuto rassicurarli che stavo bene".
Al Villaggio del Fanciullo di via Scipione dal Ferro sono
ospitati al momento 22 ragazzi di diversa nazionalita', tutti
minorenni, che di giorno vanno a scuola o a lavorare e di sera si
ritrovano nel salone del centro, dove oltre al lungo tavolo della
mensa hanno a disposizione un ping-pong e un biliardino per il
tempo libero: "Siamo tutti ragazzi di 16-17 anni- racconta in
buon italiano, uno dei minori che vive Centro di via Libia-
veniamo da diversi Paesi. Io sono afgano, ma altri sono del
Pakistan, Bangladesh e Nord Africa".
Oltre alle stanze, con 2 o 3 posti letto, c'e' anche una cucina
ben attrezzata che i ragazzi possono usare per farsi da mangiare.
Nonostante la guerra libica sia geograficamente lontana, la
Somalia non gode di una situazione economica e sociale agiata.
Questo il motivo che spinge molti giovani, come Mohamed, a
lasciare il Paese per cercar fortuna in Europa: "Non scappo da
Gheddafi, ma vengo in Italia perche' qui voglio costruire il mio
futuro- racconta -. C'e' grande rispetto verso questo Paese da
parte del mio popolo. Mio nonno parlava italiano, e io sono un
grande fan del Milan". Mohamed e' l'unico ad essere ospitato
nella sede di via Scipione dal Ferro, ma il Ceis da' alloggio ad
altri 4 minori stranieri. Due sono stati mandati a Bazzano e un
altro paio sono a San Martino di Ancognano e al Ponte, Centro di
pronta accoglienza. Impegnati nel dare posti letto ai profughi
minorenni sono anche le cooperative sociale Metoikos, Dolce,
Csapsa e La Rupe.
(Wel/ Dire)