DAL 1996 BIMBI DISABILI VIVONO IN STRUTTURE GESTITE DA OPERATORI.
(DIRE - Notiziario Minori) Roma, 21 set. - Basta un solo passo
all'interno dei due appartamenti di via delle Calasanziane a Roma
per capire che si tratta luoghi abitati da bambini. Le foto, i
giochi, i colori delle pareti raccontano di una normale vita "in
famiglia" e solo due carrozzine sistemate nell'ingresso lasciano
intendere che gli abitanti della casa sono bimbi disabili. Nel
quartiere Pineta Sacchetti, da diciotto anni Casa Betania
accoglie mamme con figli e bambini soli da zero a otto anni, ma
anche piccoli con disabilita'.
La storia comincia nell'ormai lontano 1996, con uno di quegli
incontri dopo i quali nulla puo' essere piu' come prima. "Ci
arrivo' la richiesta di accogliere un bimbo gravemente disabile
che era stato abbandonato all'ospedale San Giovanni", racconta
Silvia Terranera che, con il marito Giuseppe Dolfini, e'
responsabile di Casa Betania. Il piccolo mori' dopo pochi mesi ma
il suo passaggio, per quanto breve, ebbe il risultato di cambiare
la vocazione della casa famiglia, ampliandone definitivamente gli
orizzonti. E cosi', quando due anni dopo arrivo' un secondo
bambino con gravi problemi, trovo' il terreno gia' spianato:
responsabili, operatori e volontari erano pronti a confrontarsi
con difficolta' che tanti considerano piu' grandi di loro. Il
secondo ospite veniva da un paese dell'Africa di cui gli
operatori preferiscono non dire il nome per questioni di privacy,
visto che si tratta di un minore. Aveva appena due anni, un
disturbo pervasivo dello sviluppo aggravato da sindrome autistica
ed era approdato in Italia dopo aver viaggiato nel deserto con la
nonna. In suo onore e' stata creata Casa Chala, dove vive ancora
oggi che ha quasi 14 anni insieme ad altri tre bambini arrivati
nel corso del tempo, tutti con gravi disabilita' e poca o nessuna
autonomia nel mangiare, nel camminare e nell'esprimersi.
"Dopo l'apertura di Casa Chala c'e' stato un susseguirsi di
richieste: da parte del tribunale, dei servizi sociali e
soprattutto degli ospedali, dove a volte le famiglie in
difficolta' abbandonano i bambini disabili", prosegue Silvia
Terranera Dolfini. Per rispondere a questa domanda incessante nel
2006 e' nata la Piccola Casa dove, come a Casa Chala, i piccoli
vengono accuditi da sette operatori che si danno il turno e da
numerosi volontari che gravitano intorno alla struttura. Anche
qui il clima vuole essere intimo e caldo come quello di una vera
famiglia. E in programma c'e' l'apertura di un nuovo gruppo
appartamento, che si chiamera' Casa del Sole: e' tutto pronto,
bisogna soltanto trovare una sede.
"Attualmente i bambini sono nove, la decima e' scomparsa appena
qualche settimana fa lasciandoci tutti scioccati", spiega
Stefania Moroni, responsabile della Piccola Casa. Tra i nove ci
sono due italiani e sette stranieri, di cui cinque sono rom.
Tuttavia, nel corso degli anni, di giovani ospiti ne sono passati
piu' di una ventina, molti dei quali hanno trovato una famiglia
adottiva o affidataria. "Erano bambini con disabilita' meno gravi
e soprattutto con deficit di tipo fisico", sottolinea la
responsabile di Casa Betania. "Quando c'e' un problema psichico
diventa tutto piu' difficile". Anche perche' non sempre gli
affidi e le adozioni sono possibili. "A volte", prosegue, "le
persone fanno scelte importanti sull'onda emotiva, senza riuscire
a valutarne adeguatamente le conseguenze".
"La piccola Ilenia", racconta Arnaldo Iossa, educatore di Casa
Chala, "e' arrivata nel 2006 all'eta' di nove anni con alle
spalle un'esperienza di affido fallita". Oggi, invece, a vederla
muoversi da una parte all'altra dell'appartamento con il suo
passo ondeggiante, appare serena. E suor Paola, che a Casa Chala
ci vive stabilmente, racconta che da quando le hanno regalato un
set di fermagli per capelli non fa altro che mostrare a tutti la
sua nuova acconciatura. "Chi li guarda dall'esterno pensa che
questi bambini non abbiano alcuna possibilita' di sviluppo",
continua l'operatore, "eppure noi che viviamo tutti i giorni con
loro conosciamo i loro progressi".
"Sono quasi tutti bambini adottabili, ma con l'esperienza ci
siamo convinti che, vista la difficolta' dell'impegno per una
famiglia, piccole strutture come le nostre possono rappresentare
la soluzione migliore", dice ancora Terranera Dolfini. A patto
naturalmente di avere operatrici e operatori molto motivati e
soprattutto determinati a imparare a confrontarsi con
l'alimentazione assistita e tutti gli ausili del caso, proprio
come farebbero dei veri genitori. Rimane un problema: cosa
faranno da grandi? "È una domanda che ci siamo posti", risponde
la responsabile di Casa Betania, "e siamo giunti alla conclusione
che in futuro dovremo ripensarci, trasformandoci in una struttura
per adulti con disabilita'".
Ma a Roma c'e' anche una casa famiglia con la stanza del coma.
Non somiglia a una stanza di ospedale trasportata tra le mura di
un appartamento. È una vera cameretta per bambini, anche se
pensata per una missione molto speciale: accogliere quei piccoli
con gravi patologie che possono essere dimessi dall'ospedale, ma
non hanno una mamma e un papa' cui fare ritorno. Si chiama la
Stanza di Aurora e si trova all'interno dell'ultima casa famiglia
del Centro Pedro Arrupe, che ha aperto i battenti in queste
settimane a Roma. "L'abbiamo dedicata a una bambina di tre anni
con gravi deficit che abbiamo ospitato in un'altra delle nostre
case famiglia due anni fa", spiega il responsabile Carlo
Stasolla. "Dopo tre mesi la piccola e' morta, ma noi non abbiamo
voluto dimenticarla". La casa famiglia puo' accogliere sei
bambini da zero a sei anni, la Stanza di Aurora due, anche in
coma. "Nella casa vive una coppia con figli, ma a occuparsi dei
bambini malati saranno anche i volontari che faranno dei brevi
corsi di formazione e saranno seguiti dalla supervisione di un
medico. Infatti, non occorrono competenze specifiche: si tratta
di cure che un genitore generalmente e' in grado di fare".
(Wel/ Dire)