OLTRE 1.300 DISABILI VIVONO IN STRUTTURE SOCIO-ASSISTENZIALI.
(DIRE - Notiziario Minori) Roma, 21 set. - In Italia sono 1.366 i
bambini e i ragazzi disabili ospitati nelle strutture
residenziali socio-assistenziali (dati Istat 2006). Rappresentano
l'8,3% dei minori che per vari motivi vivono al di fuori della
famiglia. Di questi, quasi la meta' ha un disturbo psichico, uno
su cento e' straniero e molti sono rom. Ma c'e' anche chi sta
peggio: alcuni nascono, vivono e crescono in un reparto
d'ospedale per mancanza di un luogo dove stare. E restano in
corsia a tempo indeterminato. È una storia dei nostri giorni,
anche se ha il sapore dell'altro ieri: di tempi lontani in cui
gli ospedali pubblici si trasformavano in "orfanotrofi" per farsi
carico di piccoli senza genitori.
Nel 2010 i bambini abbandonati in ospedale sono soprattutto
disabili o gravemente malati, bambini che non sempre restano in
corsia per mancanza di una famiglia che sappia (o possa)
prendersi cura di loro. Perche' spesso non sono bimbi
abbandonati, sono piu' che altro "incastrati": le famiglie non
riescono a riportarli a casa per mancanza dei presidi sanitari
necessari, anche quando si tratta di quelli che salvano la vita.
Nel solo 2009 al polo pediatrico Bambino Gesu' di Roma il
servizio sociale e' stato costretto a intervenire ben 32 volte
per i cosiddetti casi di "dimissioni difficili". E, di questi,
dodici sono stati particolarmente complessi. "Non tutte le
situazioni sono uguali", spiega Lucia Celesti, responsabile dei
servizi sociali dell'ospedale Bambino Gesu'. "Le cause possono
essere di tipo sanitario o sociale. Nel primo caso le dimissioni
vengono ostacolate dalla difficolta' di ottenere un'adeguata
risposta nel territorio, che dovrebbe garantire la prosecuzione
della terapia a domicilio. Purtroppo la situazione in Italia e'
molto variegata, e in alcuni casi puo' diventare particolarmente
complicato. In altri casi, invece, le famiglie non ci sono. O se
ci sono possono essere inadeguate a prendersi cura del bambino.
Quando le difficolta' sanitarie si saldano al disagio sociale
rischiano di diventare insormontabili".
E poi ci sono i tanti bambini che arrivano dall'estero per
curarsi a Roma. Vengono da tutte le parti del mondo, accompagnati
dai genitori. Sono i flussi invisibili delle migrazioni
sanitarie, che nulla hanno a che fare con la ricerca di un
migliore tenore di vita. In ballo c'e' la sopravvivenza dei
figli. "Partono per operarsi o anche per il trapianto di un
organo, ma a volte sono costretti a restare in Italia per
l'impossibilita' di ottenere i presidi sanitari adeguati nel loro
Paese", racconta la dottoressa Celesti. "Il sogno di queste
famiglie e' fare ritorno a casa". Un sogno che condividono con
tante coppie italiane, che intorno all'ospedale ci hanno messo le
tende. Le cure sono lunghe, le abitazioni non rispondono ai
requisiti minimi necessari, le Asl arrancano. E i genitori
stravolgono la propria vita per restare accanto ai loro bambini
che a volte restano in ospedale per tempi molto piu' lunghi del
necessario. Lasciano altri figli a casa, si indebitano oppure
abbandonano il lavoro: i costi psicologici, economici ed
esistenziali della mancata o tardiva risposta da parte del
territorio possono essere devastanti. "Non ho mai conosciuto
nessuno che preferisse restare in ospedale nel momento in cui ha
la possibilita' di ottenere l'assistenza necessaria", commenta la
responsabile dei servizi sociali. "Ma mancano anche gli hospice
per accogliere i pazienti pediatrici e le loro famiglie nei casi
in cui i bambini non possono essere reinseriti a domicilio per
problematiche sanitarie, abitative e sociali".
Le cose vanno ancora peggio quando i genitori mancano del tutto
o non sono in grado di riportare i casa i piccoli. "Spesso, pur
avendo bisogno di tante cure, i bambini potrebbero vivere
tranquillamente nella propria abitazione", sottolinea Celesti.
"Ma se la famiglia presenta a sua volta problemi sociali tutto si
aggrava: puo' dipendere da una condizione di indigenza, dal fatto
che uno o entrambi i genitori siano disabili o dalla
disgregazione del nucleo familiare". Anche se non mancano gli
italiani, in molti casi i bambini incastrati in ospedale sono
stranieri e soprattutto rom. "In questo caso", precisa il medico,
"la vita nei campi attrezzati, se non addirittura nelle baracche
abusive, rende impossibile il rientro in famiglia dei piccoli
pazienti perche' mancano le condizioni minime necessarie".
Trovare una soluzione per questi bambini non e' semplice. Le case
famiglia attrezzate per fronteggiare problemi cosi' complessi si
contano sulle dita di una mano, le famiglie adottive e
affidatarie scarseggiano e gli hospice sono troppo pochi. Cosi',
alcuni diventano grandi tra le mura di un ospedale, con medici,
infermieri e volontari a fare le veci dei genitori. Amina (di cui
raccontiamo in uno dei lanci successivi) fortunatamente ha
trovato una famiglia che l'ha presa in affido. Non e' stato
semplice, ci sono voluti quasi cinque anni, ma alla fine ce l'ha
fatta. Ismet, invece, vive ancora al Bambino Gesu'. Per lui non
sono ancora arrivati ne' una comunita' familiare ne' dei nuovi
genitori. L'ospedale rimane la sua casa.
(Wel/ Dire)