UN QUINTO DEI PENSIONATI PRENDERA' MENO DELL'ASSEGNO SOCIALE.
(DIRE - Notiziario Minori) Roma, 26 nov. - Nei prossimi 40 anni
si vivra' di piu', ma il rischio di poverta' tra gli anziani
crescera' in modo significativo rispetto a oggi. È il risultato
di una ricerca realizzata dal dipartimento di Scienze economiche
dell'Universita' di Bologna, in collaborazione con la Fondazione
Unipolis nell'ambito della convenzione finalizzata a promuovere
la ricerca da parte di giovani studiosi. Dallo studio emerge che
quasi un quinto di coloro che saranno in pensione nel 2050 avra'
diritto a una previdenza pubblica (derivante dai contributi
versati durante l'attivita' lavorativa) inferiore all'assegno
sociale (oggi pari a 450 euro). E anche le pensioni integrative
(per chi se le puo' permettere) non basteranno a ottenere un
reddito dignitoso. "Senza un intervento attivo del privato - ha
affermato Walter Dondi, direttore della Fondazione Unipolis - il
welfare che abbiamo conosciuto finora si ridurra' in maniera
significativa". Il modello proposto prevede una collaborazione
tra pubblico e privato per andare incontro alle esigenze delle
persone a basso reddito ovvero quelle che sono al di fuori dei
circuiti dei contratti nazionali o aziendali.
Donne, lavoratori precari o con una carriera contributiva corta o
discontinua, autonomi sono le categorie a rischio poverta'. Uno
degli elementi valutati dalla ricerca e' il tasso di sostituzione
ovvero il rapporto tra la prima rata di pensione e lo stipendio
dell'anno precedente il pensionamento. Si nota come dal 70% circa
del 2010 si scende gradualmente fino a circa il 50% (52,5% per i
lavoratori dipendenti) al 2050 o anche a percentuali inferiori.
Gli autonomi passeranno dal 70,1% del 2010 al 38,9% del 2050, le
donne passeranno dal 64,5% del 2010 al 40,1% del 2050. Tra questi
aumenteranno in modo significativo le persone a rischio poverta':
circa il 19,1% delle donne (sono il 14,8% nel 2010), il 73,2% di
chi ha avuto una carriera breve (sono l'8,5% nel 2010) e il 21,2%
dei pensionati over 80 (sono il 17% nel 2010).
Come intervenire? Secondo Carlo Mazzaferro, docente di Scienza
delle finanze, che ha seguito la ricerca, le strade sono due.
"Aumentare l'eta' pensionabile - spiega - e favorire lo sviluppo
della previdenza complementare". Dopo anni di attesa, le pensioni
integrative hanno subito un'accelerazione nel 2007 con
l'introduzione del meccanismo del silenzio-assenso per l'utilizzo
del trattamento di fine rapporto nei fondi pensione. "Il problema
della previdenza complementare - continua Mazzaferro - e' il modo
in cui e' costruito il sistema: i rischi del mercato ricadono
totalmente sui pensionati". A seconda del momento in cui si va in
pensione l'importo della previdenza integrativa potra' essere
molto alto oppure molto basso. La variabilita' e' molto elevata
soprattutto nei fondi in cui vi e' un'elevata percentuale di
azioni. Ma come potranno essere coperti gli individui?
"L'individuo-tipo ovvero il dipendente, con 40 anni di contributi
e un salario medio - afferma Mazzaferro - riuscira' a supplire
con la pensione integrativa alla previdenza pubblica, ma tutti
quelli che non sono dipendenti, non ci riusciranno". Come
uscirne? Secondo il docente, "bisogna stare attenti al modo in
cui la pensione e' calcolata e prevedere una garanzia sul
rendimento (un minimo sotto al quale non si scende) e - conclude
- introdurre meccanismi per ridurre il grado di rischio man mano
che ci si avvicina al pensionamento".
(Wel/ Dire)