UN RAGAZZO SU CINQUE RIFERISCE DI AVER FATTO USO DI CANNABIS.
(DIRE - Notiziario Minori) Bologna, 1 mar. - Gli stupefacenti
entrano anche nelle parrocchie. Che non sono piu' isole felici,
ma continuano comunque ad esercitare un "effetto protettivo" su
chi le frequenta. Anche tra i giovani dei gruppi legati a
comunita' parrocchiali c'e' consumo di sostanze, in prevalenza
alcol e cannabinoidi, ma questi ragazzi sembrano essere
maggiormente al riparo da comportamenti autolesivi e pericolosi.
È quanto emerge da uno studio di Raimondo Maria Pavarin -
responsabile dell'Osservatorio epidemiologico sulle dipendenze
patologiche della Ausl di Bologna - intitolato "L'effetto
protettivo dell'appartenenza a gruppi religiosi nell'uso di
sostanze psicoattive". Presentata alla facolta' di Scienze della
formazione di Bologna, la ricerca riguarda un campione di 700
giovani parrocchiani, dall'adolescenza ai 26 anni, messi a
confronto con un gruppo di controllo di 3600 loro coetanei,
intervistati tra Treviso, Reggio Calabria, Brescia e Bologna.
Quale rapporto ha con gli stupefacenti chi frequenta il mondo
parrocchiale? Un ragazzo su cinque riferisce di aver fatto uso di
cannabis, e sette su dieci di aver usato alcool, anche se in modo
non problematico, ovvero senza abusarne. Molto piu' raro l'uso di
sostanze quali la cocaina (0.8%) e l'oppio (1.4%). Ma se tra i
"bravi ragazzi" delle parrocchie l'uso di sostanze stupefacenti
sembra essere molto meno frequente, e' notevole invece il fatto
che l'eta' del primo uso sia tra loro sensibilmente piu' bassa.
Tra i giovani "parrocchiani" si registra una percentuale
maggiore di soggetti che hanno consumato sostanze prima dei 16
anni, "quindi - dice Pavarin - paradossalmente sono piu' a
rischio". A fare la differenza tra i ragazzi dentro e fuori dalle
parrocchie, comunque, non e' tanto l'uso di stupefacenti quanto
le relative motivazioni e la gestione dei rapporti personali. Tra
i "bravi ragazzi" l'uso di sostanze e' legato quasi sempre alla
curiosita', alla socialita' e alla ricerca di nuove sensazioni:
del tutto assente e' il bisogno di automedicazione, una
motivazione tipica invece al di fuori del loro mondo. Pressoche'
assenti sono anche i comportamenti pericolosi, come la guida in
stato d'ebbrezza, o i mix tra sostanze diverse ed alcolici. I
giovani parrocchiani sembrano inoltre tenere in maggior
considerazione lo stigma sociale associato agli stupefacenti: i
loro timori non sono legati solo alle conseguenze psicofisiche
dell'uso, ma anche a quelle sociali.
Ed e' proprio la dimensione della socialita' a far si' che il
mondo delle parrocchie eserciti ancora un "effetto protettivo" da
atteggiamenti devianti. "L'appartenenza ai gruppi religiosi -
chiarisce Pavarin - esercita sui ragazzi un effetto protettivo
indiretto. Aspetti molto importanti in questo senso sono
l'orientamento a valori positivi e la presenza di adulti nelle
attivita' di gruppo: si entra in un mondo in cui il sentire e'
orientato costruttivamente, e questo da' ai giovani gli strumenti
per una diversa gestione dei problemi". Le differenze piu'
significative iniziano a delinearsi con l'avanzare dell'eta'.
"Fino ai 18 anni - continua Pavarin - le percentuali d'uso
sono abbastanza simili tra il mondo parrocchiale e quello al di
fuori. Dai 18 anni in su, pero', tra i ragazzi delle parrocchie
l'uso di sostanze e i relativi comportamenti vanno sensibilmente
restringendosi. Questo perche' probabilmente avviene una sorta di
selezione interna: chi non ha aderito ai valori della parrocchia,
la abbandona". Pur non essendo immuni dai problemi di molti loro
coetanei, i giovani parrocchiani intervistati sembrano
affrontarli in maniera differente. "Si sentono meno depressi -
continua Pavarin - ma spesso riferiscono di sentirsi isolati. È
notevole come il 15% delle ragazze soffra d'ansia. In generale
pero' hanno una migliore relazione con i familiari, con gli amici
e con il partner. Hanno meno problemi a scuola e nel mondo del
lavoro. Non manifestano comportamenti pericolosi e difficilmente
rimangono coinvolti in incidenti stradali. Usano sostanze per
facilitare i percorsi di socialita', ma le vivono in maniera
conflittuale".
"Le richieste che i ragazzi fanno alle parrocchie - spiega don
Giuseppe Dossetti, presidente del Centro di solidarieta' di
Reggio Emilia - ormai trascendono il fattore religioso.
Nell'effetto protettivo esercitato dai gruppi religiosi
fondamentali sono oggi la dimensione comunicativa e collettiva,
anche nella gestione dei problemi esistenziali, in cui appunto
l'elemento prettamente religioso non interviene in maniera
determinante. Cio' che e' determinante invece e' la qualita' del
legame che si instaura nei gruppi parrocchiali. Spesso
nell'adolescenza si tende a confondere la comunicazione con la
prossimita': si e' vicini ma in realta' non si comunica, se non a
un livello superficiale. Riuscire a creare occasioni di vera
fiducia tra i ragazzi non e' una sfida semplice, ma e' l'unica
vera via per creare un'identita' che non abbia bisogno di
appoggiarsi alle sostanze".
(Wel/ Dire)