STORIE DALLA CASA CIRCONDARIALE "LORUSSO E CUTUGNO" DI TORINO
(DIRE - Notiziario Minori) Roma, 29 lug. - L'aria e' calda nella
sezione femminile della Casa circondariale "Lorusso e Cutugno" di
Torino. Il termometro ha raggiunto i 34 gradi e non si respira.
Le due mamme arrivano da paesi differenti, ma hanno lo stesso
sguardo. Sono giovani entrambe, una ha con se' il proprio
bambino, l'altra e' scesa, nella saletta dove abbiamo il
colloquio, da sola.
Una e' romena, l'altra nigeriana. La ragazza dell'est ha in
braccio il suo bimbo, che come un gatto cerca tutto il tempo di
divincolarsi. Dicono che per un piccolo di quell'eta' crescere in
un ambiente come il carcere gli pregiudichera' tutta la vita. Nel
"nido", gli ambienti vogliono essere meno duri, piu' aperti, meno
simili a un carcere, ma tanti elementi portano a non farlo
credere: la mancanza di figure maschili, la costante restrizione,
la vista delle sbarre, l'ambiente innaturale e angusto.
"Lui e' nato in carcere, ha un anno e mezzo", racconta la
mamma romena, indicando il suo bambino. La donna ha 34 anni,
fuori ha altre tre figlie di 14, 12 e 7 anni. Racconta che la
vita quotidiana li' e' dura: i bimbi vanno all'asilo, sono
portati all'esterno da assistenti volontari, "altrimenti con
l'aria di 2 ore al giorno non si possono divertire". La loro
giornata e' routine: si svegliano, fanno colazione, la doccia,
vengono vestiti e vanno fuori, al parco, nei giardini, tornano
alla mezza, mangiano e dormono, alle tre vanno all'aria poi in
sala giochi, le mamme stanno con loro, alle otto la cena.
Chiediamo alle madri se possono partecipare alle attivita' della
casa circondariale: "Possono lavorare, ma qui a Torino no. A Roma
ci sono puericultrici che tengono i piccoli e le mamme lavorano.
Qua, per noi, non c'e' niente". Il carcere, dicono tutte, non e'
un posto adatto ai bambini: non c'e' spazio, e' tutto in ferro.
"Letti in ferro dove sbattono. Si vedono chiusi, si sentono
chiusi. In Romania non c'e' un carcere per bambini, si va agli
arresti, o si va in una comunita', il piccolo rimane in custodia
dal papa'. Per i bambini le leggi sono diverse: comunque non
entrano in carcere". Le suore e i volontari sono un grande aiuto
per le mamme: portano fuori i piccoli, li fanno giocare. Ma non
e' sufficiente.
La ragazza nigeriana ha 29 anni, lo sguardo triste e angosciato.
Anche la voce e' trascinata, il suo italiano misto all'inglese
rivela il suo smarrimento. Il suo bambino ha 8 mesi, e' in
carcere da maggio: e' entrato con lei. Non le piace il posto. In
Nigeria non mettono in carcere i bambini, racconta, o meglio non
si finisce in carcere per il reato da lei commesso, "documenti" ,
dice. "Voglio andare a casa, non mi piace qua. Mio figlio non
mangia bene: solo pasta e focaccina. Sempre stesso tipo di
frutta. Non ho fatto niente di male per stare qua". "Quando
l'agente chiude la cella, la sera, mio figlio dice "no, no, no".
Questo non va bene, non mi piace. Non e' che scappo se non chiudi
la cella, ma le regole sono regole". Che e' dura si vede: e che i
figli paghino per i peccati delle loro madri, sembra a tutti
evidente. È un fardello pesantea' "Spesso mio figlio si avvicina
al cancello - interviene ancora la giovane rumena - e mi chiede
di uscire: il mattino e' piu' agitato, quando vede la porta
chiusa vuole andar via. Non e' facile per lui, perche' gia' sa
che stara' chiuso. Penso che sentano: i bambini lo sanno, anche
quando vengono a fare i colloqui sanno che poi devono rientrarea'
Mio figlio magari rimane con il trauma per tutta le vita se vede
un poliziotto. Cresce col trauma. I piccoli pagano per noi:
abbiamo sbagliato noi, non loro. Non devono essere qua; un conto
e' chi fa bambini per andare a rubare, un conto e' chi sbaglia e
puo' darsi che non sbaglia piu'".
(Wel/ Dire)