A NARRARLE, LA VOCE DI CHI CON ESSE HA A CHE FARE OGNI GIORNO
(DIRE - Notiziario Minori) Roma, 8 lug. - Ci sono storie vere, di
ragazzi, di minori. Storie che sanno di sfruttamento, di paura,
di infanzia violata; che riguardano bambini e ragazzi stranieri
approdati, per vari motivi, in Italia. A narrarle, la voce di chi
con esse ha a che fare ogni giorno. Non un volontario, non un
religioso, ma Livia Pomodoro, magistrato di Cassazione e
Presidente del Tribunale per i minorenni di Milano, che nella
prefazione al libro afferma: "In queste storie non c'e' nulla di
inventato, sono tutte dolorosamente vere. Tra successi e
delusioni mi sono accostata a questi ragazzi con l'animo e le
intenzioni di chi ama l'umanita'.
Mi appartengono tutti". Sono dodici brevi racconti, si leggono
velocemente, ma le sensazioni che danno non si esauriscono nelle
poche ore di lettura che servono per finire il libro. Si chiama A
QUATTORDICI SMETTO di Livia Pomodoro, Edizioni Melampo. C'e'
Dorin, bambino di Bucarest che da bravo "imprenditore di se'
stesso" e' riuscito ad arrivare in Italia per vendere il suo
corpo (attivita' certo molto redditizia) in una piazza di Milano.
Ha trovato gli agganci giusti e cerca di fare soldi nel piu'
breve tempo possibile perche', come dice ad un amico durante una
telefonata, ha gia' deciso che a quattordici anni smettera',
essendo fino a quell'eta' non imputabile. La sua razionalita' nel
decidere della sua vita lascia esterrefatti, soprattutto perche'
si tratta di un bambino. E c'e' anche Dinesh, orfano indiano,
adottato da una coppia italiana ed in seguito rifiutato perche'
"non rispondente ai requisiti dei coniugi", che si trova senza
famiglia e senza alcun rapporto stabile nel nostro Paese,
sognando la nonna, l'Oceano e le "suore bianche e blu".
Ci sono poi Felipe e Soledad; loro ce l'hanno fatta a
riscattarsi, nonostante il rapporto di fratellanza sia stato
alterato dagli abusi di un padre - padrone. La loro e' una delle
storie che fanno piu' male. E infine Xin, giovane cinese; ha
rischiato la vita per aver cercato di denunciare il datore di
lavoro per il quale lavorava come uno schiavo; e' stato
abbandonato al suo destino dopo un incidente nella fabbrichetta
clandestina che gli e' quasi costato l'uso di una mano. Storie a
lieto fine (non senza sofferenza, difficolta' e impegno da parte
degli operatori); storie che invece si sono concluse male, o
ancora non hanno avuto una soluzione. Il linguaggio e'
scorrevole. Livia Pomodoro narra vicende drammatiche con
partecipazione e umanita', amore e lucidita', ma senza inutili e
facili pietismi, senza generalizzare. Consapevole che il destino
di molti giovani dipende anche da lei, dalla sua capacita' di
comprendere le singole storie e di aiutare i ragazzi a superare i
profondi traumi che li hanno segnati. Offre uno spaccato di una
realta' troppo spesso "invisibile", immersa in una quotidianita'
che suscita rabbia e smarrimento.
(Wel/ Dire)