CON SINDROME EXTRAPIRAMIDALE DAL LICEO FINO ALL'ESAME DA AVVOCATO
(DIRE - Notiziario Minori) Roma, 10 dic. - Nel corso di dieci
anni di attivita', il centro documentazione handicap di
Campobasso, nato come progetto sperimentale, ha risposto ai
bisogni di percorsi di autonomia e al diritto dei giovani con
disabilita' di essere protagonisti del proprio progetto di vita e
di ogni processo di integrazione sociale, grazie al Centro
Orientamento Ausili Molise. Ora pero' il servizio, che fornisce
ausili informatici agli studenti con disabilita', rischia di
fermarsi definitivamente perche' non ci sono fondi. A
testimoniarne pero' il grande valore sociale e' Marianna Cocca,
una ragazza con sindrome extrapiramidale, accompagnata dal C.d.h.
nel proprio percorso di studio, dalle superiori all'universita',
fino all'esame da avvocato.
"Era la fine degli anni '90 e io ero all'inizio della quinta
ginnasiale. Avevo capito che studiare mi piaceva davvero, avevo
chiacchierato e riso con i miei nuovi amici, avevo fatto commenti
su quel ragazzo carino della classe accanto. Avevo superato il
primo anno con ottimi risultati, avevo trovato una classe
accogliente e buoni insegnanti. Ma avevo continuato a scrivere
temi e versioni di getto, direttamente in bella copia, per
evitare di copiare e impiegare piu' tempo degli altri, con la
paura di non reggere la stanchezza di scrivere ininterrottamente
per quattro ore. Perche' io ero - nonostante la perenne
ostinazione a costruirmi una vita normale - un'adolescente
atipica. Una non bene identificata sindrome extrapiramidale mi
faceva compagnia da sempre, rendendo i movimenti scoordinati, i
muscoli contratti e la scrittura faticosa e irregolare.
"Ad un certo punto, decisi che volevo smettere di fare tutto
direttamente in bella copia, di pensare interi temi prima di
scrivere. Pensai che mi serviva qualcuno che mi indicasse le
possibili soluzioni e le normative in vigore per poterle mettere
in campo. Fino ad allora, mia madre si era sempre occupata di
tutto quanto riguardasse il mio handicap, aveva girato uffici,
assessorati, fatto domande, chiesto informazioni sulle mille cose
ed i mille bisogni che toccano chiunque abbia in casa una persona
disabile. Invece quella volta no: approdammo al C.D.H., Centro
Documentazione Handicap. Ne ignoravamo l'esistenza e invece
scoprimmo un mondo. Scoprimmo che non esisteva solo l'assistenza,
ma anche la partecipazione. Cosi', una volta individuata la
soluzione giusta per me (un semplice pc portatile, da portare con
me solo i giorni dei compiti in classe, in modo da non avere una
postazione separata dal gruppo classe), fui indirizzata dalle
operatrici su come richiederne l'uso al Dirigente Scolastico e
come ricevere un contributo dalla regione".
Inizio' cosi' la mia lunga frequentazione al C.d.h., che
cammino' di pari passo con la conoscenza delle operatrici, una
condivisione fatta di domande (tante!) e di risposte date da chi
sa mettere a disposizione le proprie competenze, cercando insieme
le risposte. Insieme. È la parola chiave e il vero punto di forza
del C.d.h.: non ci sono pacchetti preconfezionati sui temi della
disabilita'. Le soluzioni non si trovano se si forniscono
informazioni senza conoscere le storie, il vissuto, le facce. La
mia faccia l'hanno vista tante volte al C.d.h., anche quando
l'adolescente e' diventata una studentessa universitaria, che ha
preso contatti con l'Ufficio Disabilita' (sportello satellite del
C.D.H.), per conoscere i servizi che l'universita' offre allo
studente disabile. Bisogni che cambiavano perche' cambiavo io, ma
non ho trovato mai la porta chiusa o sentito le parole: "di
questo non ce ne occupiamo". Non le ho sentite neanche ora che ho
chiesto la maniera per fare gli scritti dell'esame da avvocato
utilizzando il pc. La soluzione e' stata cercata, ancora una
volta, insieme, tra una battuta e l'altra. E poi l'interesse
costante, il chiedere: "Ma poi? Come e' andata a finire? Hai
risolto quel problema?" da' la cifra di una partecipazione
effettiva alle storie delle persone, che non e' mera fornitura di
informazioni, ma ricerca di soluzioni efficaci per quella singola
persona.
Con loro ho condiviso anche le cose belle: abbiamo riso quando
sono tornata da New York dove ho partecipato, sempre grazie ai
loro suggerimenti, ad un progetto dell'universita' relativo
all'integrazione degli studenti disabili, ho raccontato,
chiacchierato, affiancato domande ad esperienze. Perche' questa
e' la chiave del C.D.H.: un connubio tra competenze e
condivisione di una visione del disabile come protagonista della
propria vita e non come destinatario di assistenza. Non ho visto
le loro facce stupite quando parlo dell'esigenza di spostarmi da
sola nonostante le difficolta' motorie o quando prospetto l'idea
di andare a vivere da sola. Non ho percepito mai i sorrisini di
circostanza che si vedono, purtroppo troppo spesso, in altri
contesti. Ho visto, invece, tante volte la mia stessa rabbia e la
mia stessa ostinazione. Ho visto sfumarsi i confini tra il
disabile e il normodotato, ho sentito che i miei problemi
interessavano davvero, per scelta e non per dovere.
È stato cosi', proprio grazie a questo "sentirmi parte", che
sono passata da utente ad iscritta. Ho raccontato la mia
esperienza scolastica ed universitaria in un convegno, ho
partecipato alle riunioni, ho scambiato esperienze. Mi piace
l'idea di essere parte di uno scambio: ormai sono, si puo' dire,
una "disabile di lunga data", per cui ritengo di poter essere
parte attiva in questo scambio che coinvolge disabili, mondo
della scuola, del lavoro, operatori sociali, istituzioni. Per
questo, credo che occorra fare di tutto per non lasciare che
questo bagaglio di conoscenze, storie, esperienze vada perso,
lasciando i disabili un po' piu' soli, un po' piu' vittime di una
cultura assistenzialista, davanti a una porta chiusa o,
semplicemente, posta in cima a delle scale troppo alte".
(Pic/ Dire)