(DIRE - Notiziario Minori) Roma, 30 set. - Con l'inizio del nuovo
anno scolastico riparte il progetto "Il carcere entra a scuola".
La redazione di 'Ristretti orizzonti' (www.ristretti.it), il
giornale della Casa di reclusione di Padova e dell'Istituto di
pena femminile della Giudecca, propone alle scuole un progetto
per educare alla legalita' le giovani generazioni, attraverso i
percorsi che dalle piccole violazioni della legge possono portare
a commettere reati, raccontati dalle persone detenute che quei
percorsi li hanno attraversati davvero fino in fondo. Le
testimonianze che seguono sono proprio di detenuti.
"COSÌ LA MIA PENA È MENO INUTILE"
Testimoniare di fronte ai ragazzi storie fatte di una serie di
fallimenti non e' mai facile. Accettare un confronto leale con
gli studenti non e' semplice ne' scontato per un detenuto. Il
progetto "Il carcere entra a scuola. Le scuole entrano in
carcere" mi ha permesso questo doppio confronto con gli studenti,
nelle classi e poi in carcere.
Incontrarli prima fuori e poi dentro e' sempre una sorpresa, una
sfida che ho accettato come altri miei compagni di galera. Il
progetto non e' un pacchetto precostituito, un percorso di
educazione alla legalita' uguale per tutti, ma e' pensato come un
vestito cucito su misura delle classi che andiamo ad incontrare.
Testimoniare di fronte ai ragazzi storie fatte di una serie di
fallimenti, di dolore, di impotenza non e' mai facile.
Ognuno di noi ci prova a modo suo con genuinita' e sincerita'.
Credo che sia proprio questa sincerita', che si percepisce dal
fatto che le nostre storie non sono mai abbellite, ma sempre rese
con attenzione a non cercare giustificazioni, ad essere
apprezzata da tutti, a partire dagli insegnanti ma anche dai
genitori e dagli studenti, che hanno la possibilita' di
incontrare noi detenuti, esporci i loro dubbi, le critiche spesso
giustamente impietose.
Qualche studente mi ha rivolto domande o lettere molto crude,
critiche, qualche volta anche provocatorie. Ne aveva la facolta'
in quanto io ho volontariamente accettato di confrontarmi con lui
senza veli o ipocrisie o finte questioni di riservatezza.
Denudarsi del proprio egoismo e del protagonismo negativo che ha
caratterizzato le nostre condotte devianti nel passato
rappresenta un alto punto di riconciliazione con noi stessi e con
gli altri, intesi come quelli di cui prima ci servivamo e che
oggi abbiamo deciso volontariamente di servire con le nostre
dure, ma credo utili testimonianze di vita.
Io non mi sento messo in discussione come persona quando uno
studente mi ricorda piu' volte il fatto di "non averci pensato
prima". Non aver pensato al dolore provocato alla famiglia, agli
amici agli affetti in generale, alle nostre vittime dirette o
indirette, mi impone oggi di avviare una riflessione seria e un
confronto sui miei comportamenti sbagliati del passato. Io penso
che il "il servizio" che forniamo e' stato utile e questo rende
la mia pena meno inutile.
"IO, CARCERATO DI 'BUONA FAMIGLIA'"
Sono figlio di insegnanti, eppure questo non mi ha salvato. Vivo
in Italia da diciotto anni e il percorso che mi ha portato in
carcere potrebbe essere la storia di una qualsiasi persona,
indipendentemente dal luogo di nascita.
Ho commesso un reato legato al mercato degli stupefacenti. Avevo
la fortuna di avere due lavori, di giorno lavoravo in fabbrica e
di sera facevo il cameriere, ma aspiravo a un tenore di vita piu'
alto e questo mi ha portato a prestarmi a fare cose che credevo
fossero innocue - passare dei numeri di telefono non e' certo un
crimine, ma se nel corso della telefonata si parla di
stupefacenti non si puo' piu' negare la complicita'. Partecipo da
un anno agli incontri con gli studenti che si svolgono
all'interno del carcere.
Una delle domande che spesso ci fanno e' quella che riguarda i
rapporti con i nostri famigliari. Non e' facile rispondere,
perche' ogni volta che parlo della mia famiglia mi emoziono e ho
difficolta' come se fosse la prima volta. Quando racconto che
entrambi i miei genitori sono insegnanti e mia sorella e'
laureata, vedo stupore nelle loro facce. Forse questo stupore e'
dovuto alla demonizzazione e alle generalizzazioni che di solito
si fanno nei confronti degli stranieri, dipingendoli tutti come
la fonte di ogni male. Ai ragazzi racconto che, per piu' di due
anni, mio padre non ha saputo che mi trovavo in carcere, perche'
io mi vergognavo di aver fatto questo ai miei genitori.
Quando lo ha saputo, gli e' cascato il mondo addosso. Per sei
mesi non ha voluto parlarmi al telefono, non usciva piu' di casa
e non frequentava i suoi amici. Lui, che per tutta la vita aveva
cercato di insegnare a generazioni intere il rispetto delle
norme, non riusciva ad accettare che proprio suo figlio avesse
commesso un reato cosi grave e fosse finito in carcere.
Successivamente, grazie alla mediazione di mia madre e mia
sorella, le cose sono andate meglio. Dopo un lungo calvario per
ottenere il visto d'ingresso in Italia, mio padre e' venuto a
trovarmi in carcere. In quel colloquio, ho capito ancor di piu'
che tra le vittime innocenti delle mie azioni, c'erano anche i
miei genitori, che io avevo trascinato in un vortice di dolore.
"UN FARDELLO PER TUTTA LA VITA"
Le pene, il macigno da portare, non terminano a condanna
scontata. Pensi di poterti rifare una vita senza avere
conseguenze di quanto ti e' accaduto? Come pensi ti possa
considerare la gente per quello che hai fatto? Credi di riuscire
a convincere le persone che il carcere ti ha cambiato? Sono
queste le domande che mi rivolgono gli studenti, quando sentono
la mia testimonianza.
Purtroppo quello che ho commesso non e' un cosa che possa
passare... cioe', non esiste un evento che possa decretare la
fine delle conseguenze di un omicidio. Le conseguenze di certi
gesti cosi' gravi ed estremi non terminano con il risarcimento
materiale del danno e nemmeno con una pena scontata in carcere.
Ho sempre pensato che, per quello che ho fatto, la condanna da
scontare dietro le sbarre sia effettivamente il male minore e
sono consapevole che dovro' portare con me le conseguenze di quel
gesto per sempre, perche' dovro' fare i conti con la mia
coscienza per il resto della vita, e non potro' mai dimenticare
che a causa mia oggi, oltre ad esserci una vita in meno, ci sono
anche persone che sentono la mancanza di quella vita, che
soffrono e hanno sofferto per colpa del mio gesto. So che c'e'
qualcuno pronto a dire che me la sono cercata e adesso e' troppo
tardi per pensare ai disastrosi effetti...
Si', e' troppo tardi per me, e non sto certo piangendomi addosso,
quello che mi piacerebbe far capire a quelle persone e' che,
quando si commettono certi atti, la punizione di una persona non
finisce dopo 15, 20 o 30 anni di galera, le pene, il macigno da
portare, il castigo non terminano a condanna scontata. Parlando
poi del giudizio che le persone possono avere di me, sta a me
fare in modo di propormi in maniera tale da permettere agli altri
di andare oltre a quello che ho fatto e di avere un quadro quanto
piu' completo possibile di me.
(Fonte www.ristretti.it)
(Wel/ Dire)