(DIRE - Notiziario Minori) Roma, 21 dic. - (di Paola Spinelli, vicepresidente Anp) "I giovani protestano e occupano per esprimere prima di tutto un proprio disagio, legato all'eta' ed al contesto in cui si trovano a vivere un passaggio personale complesso e difficile". A parlare e' Antonino Petrolino, vicepresidente regionale dell'Anp (Associazione nazionale presidi) del Lazio, in un'intervista rilasciata per l'agenzia Dire dopo che nelle settimane scorse si e' aperto il dibattito sulle occupazioni delle scuole da parte degli studenti e la presa di posizione dei presidi, che in molti istituti si sono opposti a quello che sarebbe ormai uno stanco rito autunnale.
Professor Petrolino, lei che rappresenta autorevolmente i dirigenti scolastici della Regione Lazio condivide la linea ferma intrapresa da alcuni suoi colleghi romani per impedire occupazioni o autogestioni improvvisate? "Certamente. Occorre far comprendere ai ragazzi che il tempo che si 'spende' in questi riti non ha lo stesso valore per tutti.
Puo' essere una parentesi relativamente facile da assorbire per i piu' brillanti e soprattutto per i piu' 'fortunati': quelli che hanno alle spalle una famiglia in grado di sostenerli e di fornire loro opportunita' formative sostitutive o integrative rispetto alla scuola. Ma coloro che piu' hanno bisogno della scuola, perche' fuori di essa non hanno altre eredita' sociali da riscuotere, sono quelli che rischiano di pagare il prezzo piu' alto. Vorrei che non lo dimenticassero soprattutto quanti, in buona fede, credono che manifestare ed occupare sia 'di sinistra'".
Che ne pensa dell'originale iniziativa dei docenti di una scuola di 'occupare' l'Istituto permettendo cosi' l'ingresso solo agli studenti volenterosi? "Al di la' del caso specifico, credo che sia un segnale importante. Agli occhi dei giovani, gli adulti sono credibili o meno soprattutto per la coerenza fra quel che dicono e quel che fanno. Deplorare le occupazioni a parole, ma non impegnarsi per scoraggiarle nei fatti e' uno di quei comportamenti che suonano non autentici agli occhi degli adolescenti; e che finiscono con il togliere credibilita' alla persona prima che alla funzione o allo specifico precetto".
Ritiene che le motivazioni alla base dei movimenti studenteschi degli anni Sessanta e Ottanta siano ancora attuali? "Credo che le motivazioni siano molto spesso poco chiare agli stessi protagonisti. Forse sarebbe opportuno distinguere fra quelle che sono le motivazioni 'profonde' ad agire e quella che e' la 'razionalizzazione' verbale delle stesse. Sotto il primo aspetto, credo che le motivazioni siano cambiate poco: i giovani protestano e occupano per esprimere prima di tutto un proprio disagio, legato all'eta' ed al contesto in cui si trovano a vivere un passaggio personale complesso e difficile. Affermano se stessi opponendosi a chi -in quel momento e in quel luogo- rappresenta l'autorita', cioe' il sistema di vincoli e divieti che si oppone alla 'espansione' del loro io in crescita. Le motivazioni dichiarate sono invece mutevoli, secondo le stagioni e i governi in carica. Ma in realta', come gli stessi interessati sanno, si tratta solo del detonatore di una carica profonda che esiste anche prima e che esisterebbe anche senza. E senza la quale, voglio aggiungere, non ci sarebbe crescita personale ne' sviluppo sociale". Il recente appello ai dirigenti scolastici della provincia di Roma in favore di una scuola che sia palestra di democrazia aperta a tutti ha ricevuto unanimi consensi tra gli operatori scolastici, le famiglie ed i media. Ci troviamo dunque in un clima diverso rispetto al passato? "Non sono del tutto ottimista al riguardo. Credo che, anche in questa circostanza, ci sia un 'politicamente corretto' cui sono improntate le prese di posizioni ufficiali e che non sempre coincide con il pensiero profondo e soprattutto con i comportamenti concreti. E' bello e confortante vedere il consenso unanime su posizioni ragionevoli e alte: piacerebbe che al consenso facessero seguito, da parte di tutti, comportamenti conseguenti".
Didattica flessibile, regole condivise in cui trovi posto anche il dissenso e un dibattito vero su problemi concreti sembrano i punti focali di quanto e' diffusamente enunciato nell'appello. In tutto questo, pero', qual e' il ruolo delle istituzioni nazionali (Governo, Parlamento, Ministero) e locali (Comuni e Province)? "Auspicabilmente, il minore possibile. Nel momento in cui istanze centrali volgono la loro attenzione ad argomenti come la didattica flessibile, o il libero dibattito, il meno che ci si possa aspettare e' un ulteriore strato di regole rigide ed uniformi. Io credo che il meglio che possano fare le istituzioni e' fissare obiettivi ragionevoli e chiari, assicurare risorse in misura proporzionata a quel che si vuole raggiungere, apprestare un servizio credibile di valutazione dei risultati. Tutto il resto dovrebbe essere rimesso alla libera auto-organizzazione dei professionisti della scuola: dirigenti e docenti. Molti dei guasti attuali dipendono dal fatto che chi non porta la responsabilita' dei risultati educativi e non si misura quotidianamente con i ragazzi ed i loro concreti problemi pretende di legiferare e regolamentare ogni piu' minuta questione, sostituendosi a chi ne ha le competenze e che comunque deve misurarsi con i problemi. Quando si comprendera' che i sistemi che funzionano meglio sono quelli in cui ciascuno fa il proprio lavoro e non cerca di regolare quello degli altri, se non attraverso l'assunzione di responsabilita' per come lo svolge: allora forse ci sara' una vera svolta nel modo di funzionare delle scuole".
(Wel/ Dire)