(DIRE - Notiziario Minori) Roma, 14 dic. - Lavoro e maternita': sono due dei diritti che nelle sovraffollate carceri italiane fanno piu' fatica ad affermarsi. Se ne e' parlato venerdi' a Roma, durante la quinta sessione del workshop internazionale "Cultura, salute, migrazioni", promossa dall'Inmp (Istituto nazionale per la salute, i migranti e le poverta'). In un contesto di sovraffollamento e carenza strutturale. "La popolazione carceraria cresce di circa 1.000 unita' al mese- ha detto Susanna Maretti, dell'associazione Antigone- Fino al 2005, la crescita era di 1.000 unita' l'anno. A fronte di questo incremento, il personale non e' sufficiente, soprattutto quello dedicato al cosiddetto trattamento del detenuto: gli educatori sono uno ogni 220-230 detenuti. Secondo l'amministrazione penitenziaria, lavorano 20 detenuti su 100, ma questo computo comprende anche coloro che lavorano 1 volta a settimana". Il vero problema pero' e' la qualita' del lavoro in carcere: "Il lavoro penitenziario e' estremamente dequalificato- ha detto ancora Maretti- Basta pensare a definizioni come 'scopino', 'spesino' o 'scrivano', che certo non aiuteranno queste persone a reintegrarsi nella societa'. Manca, infine, una strategia unitaria, coerente e organica: per questo, venti giorni fa, abbiamo presentato alle istituzioni alcune proposte, tra cui la creazione nel dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria di un ufficio collettore di risorse che organizzi occasioni di lavoro". Ma nelle carceri italiane si consumano anche drammi affettivi laceranti, di cui fanno le spese soprattutto bambini e bambine molto piccoli: sono 116, oggi, i bambini sotto i tre anni che vivono insieme alle mamme detenute. A Rebibbia, fino a pochi giorni fa erano 30. Sono bambini costretti a vivere il dramma delle sbarre prima, quello della separazione poi. Infatti, compiuto il terzo anno di eta', devono lasciare il carcere e, se la mamma non ha scontato tutta la pena, devono lasciare anche lei, per essere presi in carico da una famiglia affidataria o da un istituto. A questi bambini e' dedicato i progetto che la Asl Roma B sta portando avanti insieme all'Inmp: "Un progetto- ha spiegato Irene Sarti, direttore del dipartimento Tutela della fragilita' della Asl RmB- che si propone di sostanziare la richiesta di misure alternative, a partire dallo studio scientifico sulla relazione madre/bambino in situazione di detenzione, sullo sviluppo del bambino stesso in questa condizione e sul percorso di separazione al terzo anno di vita". (Wel/ Dire)