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In Ecuador un prete italiano recupera i ragazzi di strada con la ‘sport-terapia ‘

QUITO (Ecuador) - La collina del Panecillo -

Pubblicato:31-10-2015 16:23
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 20:42

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sport giovaniQUITO (Ecuador) – La collina del Panecillo – sovrastata dalla statua della “Virgen de Quito” – divide la capitale ecuadoriana tra nord e sud. Quando nel 1976 l’opera fu realizzata dall’artista spagnolo Agusti’n de la Herra’n Matorras, la citta’ quasi terminava ai suoi piedi e alle sue spalle pressoche’ non esisteva quello che e’ oggi l’immenso sobborgo di Quito Sud. Sebbene la zona della citta’ in continua espansione sia quella settentrionale, la parte sud-occidentale e’ la piu’ popolata dalla fascia di popolazione piu’ povera. Cresciuta a dismisura in seguito alla grave crisi economica negli anni novanta – che favori’ l’emigrazione verso gli Usa e l’Europa e la migrazione interna – la citta’ registra tassi di poverta’ estremamente elevati nei quartieri marginali a sud. Acqua potabile, luce, fognature, assistenza sanitaria spesso sono chimere, eppure qui esiste un centro sportivo estremamente attrezzato: il Parco Fundeporte, con piste ciclabili e di pattinaggio, palestra piscina e molto altro. 33 ettari di terreno messi a disposizione nel 1995 da un privato a un prete venuto da lontano, padre Sereno Cozza.

Missionario della Congregazione dei Giuseppini del Murialdo, in Ecuador dal 1972, padre Sereno aveva un sogno: un immenso parco sportivo pronto a ospitare giovani a “rischio” dei vari distretti di Quito e delle province intorno. Il Parco e’ anche e soprattutto una scuola, un centro educativo che accoglie oggi fino a 500 ragazzi tra gli 8 e i 18 anni, adolescenti che non hanno alternative alla strada e che qui ricevono istruzione, assistenza sanitaria, appoggio psicologico e fanno sport. Judo, ciclismo, nuoto ma anche calcio, pattinaggio, atletica e tennis: alla sport-terapia e’ affidato il recupero fisico e psicologico di bambini che troppo spesso nella vita hanno fatto e subito di tutto.

Far parte della scuola vuol dire rigare dritto, impegnarsi ad esempio ad abbandonare le banderas, che spesso trafficano in armi e stupefacenti. Ma far parte di una banda significa conoscerne segreti e misfatti, e lasciarla puo’ voler dire, a volte, mettere a rischio se’ o i propri cari. E cosi’ e’ capitato che ragazzi e ragazze venissero aggrediti o che lasciassero la scuola per non correre rischi. La scuola si occupa anche di formazione professionale, sono attivi laboratori di meccanica, falegnameria, taglio e cucito, orticultura e ristorazione. Mirabel – responsabile del corso di panetteria – e’ un’ex alunna: 500 panini al giorno, pizza, pasta e grissini, empanadas (tipiche frittelle sudamericane), sono prodotti nei forni della scuola, un laboratorio professionale che produce anche per gran parte dei ristoranti italo-ecuadoriani di Quito. Tra gli ex alunni ci sono persone come Braulio, arrivato a Fundeporte una ventina d’anni fa: era un callero, un niño de la calle, senza famiglia ne’ radici; ciclista, dopo il diploma per anni e’ stato allenatore della scuola, oggi vive in Italia e ha tre splendidi bambini. Jose’ Gabriel Bone ha fatto parte di diversi team ciclistici italiani, ma poi ha mollato tutto.
Segundo Navarrete, arrivato dalla campagna per lavorare con il fratello sui bus di linea, oggi fa parte della squadra nazionale di ciclismo.


Di certo assicurare due pasti al giorno, doccia quotidiana, occhiali, apparecchi per i denti, visite specialistiche, vestiario e calzature se necessario, e assistenza psicologica, e’ un’impresa non facile. A sostenere economicamente il progetto c’e’ una fondazione bancaria e una catena di supermercati: il nome del progetto, “Su cambio por el Cambio”, si riferisce agli spiccioli di resto (cambio in spagnolo) che vengono lasciati ai supermercati ecuadoriani aderenti all’iniziativa.

Inoltre, il progetto e’ sostenuto da diverse ong e benefattori internazionali come il regista italiano Pasquale Scimeca, che ha dedicato il film Rosso Malpelo ai bambini minatori della Bolivia e a tutti i minori lavoratori, e con gli incassi – passati ed attuali – sostiene diversi progetti scolastici tra cui la Fondeporte e la scuola di Santo Domingo. Un’aula e’ stata costruita grazie al film, altre sei da raccolte fondi in Italia e in Ecuador.

 “Sono italiano e la mia terra non mi ha dimenticato – dice padre Sereno – tante ong e associazioni si adoperano per noi. Psicologi senza frontiere e l’Universita’ di Padova ci affiancano da anni. Ma soprattutto tanta gente comune, di Quito, Tena, Guaranda e Santo Domingo crede in noi. A volte ci arrivano camion di banane, fegato, pesce che semplicemente non hanno i requisiti standard per essere messi sul mercato, mandarli al macero non e’ solo uno spreco ma un oltraggio all’umanita’”.

Da qualche giorno e’ ricominciata la scuola, ma in realta’ le attivita’ non si sono mai interrotte. Sport, informatica e corsi di recupero durante l’estate per cercare di tenerli lontani dai guai. Ma bisogna dare una mano in primo luogo alle famiglie. La poverta’ e’ solo uno dei problemi, ma ci sono casi di violenza, abusi, alcolismo e la pianificazione familiare e’ uno degli obiettivi primari degli assistenti sociali domiciliari.

“L’obiettivo e’ dare ai ragazzi la capacita’ di affrontare la vita. Si educa anche e soprattutto insegnando a rispettare le regole, ecco perche’ lo sport e’ cosi’ importante per me, e’ quasi un mezzo terapeutico. L’autostima e’ figlia del cambiamento e il cambiamento parte dal singolo”, ama puntualizzare padre Sereno.

di Irma Marano per Redattore sociale

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