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Colombia, Gonzalez (Indepaz): “Governo non lasci morire i giovani”

ROMA - "I giovani, con la loro mobilitazione, sono stati

Pubblicato:31-08-2020 17:02
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 19:48
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ROMA – “I giovani, con la loro mobilitazione, sono stati tra i principali artefici del processo che ha portato agli accordi di pace di fine 2016. Ora che sono riprese le violenze, sono diventati tra i principali obiettivi: o vengono reclutati dai gruppi paramilitari o ne diventano vittime”. A parlare e’ Camilo Gonzalez, 73 anni, ingegnere chimico, ministro della Salute negli anni novanta, oggi presidente della Indepaz, ong che dal 1984 si occupa di promuovere la pace nel Paese.
L’agenzia Dire lo ha intervistato mentre la Colombia si trova ad affrontare un’ondata di violenze, che dall’inizio dell’anno ha fatto registrare piu’ di centovittime. Oltre ai leader dei movimenti sociali, i dirigenti delle amministrazioni locali e gli ex combattenti che hanno preso parte al conflitto civile, quasi la meta’ delle persone uccise in questi mesi sono giovani o adolescenti, sorpresi da commando armati durante feste, incontri informali, situazioni della vita quotidiana. La popolazione ha ribattezzato questi agguati ‘masacres’: massacri.
Come spiega Gonzalez, “Non esiste un riferimento giuridico specifico ma con questa definizione intendiamo ormai indicare l’uccisione di gruppetti di quattro persone o piu’, che vengono attaccati da gruppi armati con lo scopo di rendere sempre ben visibile il loro controllo sul territorio. Spesso vengono uccise anche persone che non sono coinvolte che in nessun modo nelle loro attivita’”.

Secondo il presidente di Indepaz, le vittime sono soprattutto “studenti delle aree urbane ed esponenti delle classi piu’ elevate della popolazione ‘campesina’”, ossia gli abitanti delle zone rurali. Gonzalez descrive questi ragazzi come “dinamici, organizzati e contrari alla guerra”.

Una generazione piena di qualita’ insomma, che tuttavia e’ esposta “ad una pressione continua da parte dei numerosi gruppi illegali, che tenta di arruolare i giovani con diverse strategie”. Se sono ragazzi e ragazze a morire negli agguati, spesso sono proprio ragazzi e ragazze gli esecutori materiali degli attacchi, puntualizza l’esperto.


Quanto ai mandanti di questi omicidi, per Gonzalez si tratta “di una moltitudine di attori diversi”. I principali responsabili, per il presidente di Indepaz, sono “gruppi narco-paramilitari: delle formazioni armate dalla struttura mafiosa che si occupano principalmente di traffico di droga, ma non solo. Sono anche molto attivi nel contrabbando di oro e legname, nell’espropriazione di terre dei nativi sia per conto di terzi che da destinare alla coltivazione della coca”. Tali gruppi non sarebbero gli unici a essere coinvolti, pero’. Un ruolo importante, spiega Gonzalez, lo giocano anche “i gruppi ‘residuali’, ossia quelle formazioni che hanno rifiutato gli accordi di pace del 2016 e che hanno proseguito la lotta armata, proseguendo i narcotraffici”. Il riferimento e’ agli accordi siglati quattro anni fa tra il governo della Colombia, guidato allora dal presidente Juan Manuel Santos, e le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia – Ejercito del Pueblo (Farc-Ep).

L’obiettivo dell’intesa era quello di mettere fine a cinquant’anni di conflitto civile a partire dal disarmo dei combattenti. Secondo Gonzalez pero’, lo spirito di quegli accordi non e’ stato accolto dall’attuale amministrazione del presidente Ivan Duque. “Lo stato sociale- denuncia l’attivista- tarda ad arrivare nelle zone che sono stato maggiormente colpite dal conflitto, mentre d’altro canto il governo ha riportato in auge una certa logica securitaria di estrema destra, che si sta facendo strada soprattutto tra le forze armate”.

Il risultato, per Gonzalez, e’ presto detto: “Si stanno diffondendo ostilita’ e sospetto. Per le autorita’, o fai da informatore e collabori attivamente con le forze armate, oppure sei un nemico dello Stato”. Cosi’ pero’, sottolinea il presidente di Indepaz, “anche chi e’ contrario a privilegiare una strategia di guerra, viene ritenuto un sovversivo”. In poche parole, sintetizza Gonzalez, “si e’ preferito l’occupazione militare all’integrazione sociale”.

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