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VIDEO | Procreazione medicalmente assistita, la psicologa: “Aprire riflessioni su nuovi scenari”

Ido: "Diritto di tutti non escluda quello del bambino ad avere un'infanzia"

Pubblicato:31-05-2019 16:31
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:21

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ROMA – I nuovi scenari del concepimento conseguenti alla procreazione medicalmente assistita hanno prodotto cambiamenti radicali nella dimensione materna, che non sono stati supportati da un’adeguata elaborazione. “La tecnica non è più neutrale, nessun atteggiamento critico nei confronti delle nuove tecnologie ma bisogna aprirci a nuove riflessioni”. Parte da qui Magda Di Renzo, psicoterapeuta dell’età evolutiva e responsabile del servizio Terapie dell’Istituto di Ortofonologia (IdO), intervenendo al 75esimo congresso di Pediatria in corso a Bologna.

“Non è detto al giorno d’oggi che la madre biologica coincida con quella gestazionale. Ci troviamo con il problema per cui possiamo avere gemelli asincroni che nascono in momenti diversi. Assistiamo all’emergere di una serie di problematiche legate proprio al mancato accompagnamento psicologico sul tema dell’infertilità. C’è il momento della scoperta dell’infertilità- sottolinea la terapeuta- e immediatamente dopo la possibilità di risolverlo, quindi non c’è nessuna elaborazione”.


LA PROCREAZIONE DAL PUNTO DI VISTA PSICO-BIO-SOCIALE

La procreazione è un atto complesso dal punto di vista psico-bio-sociale. “L’immagine del figlio si afferma progressivamente fin dall’infanzia e il senso di frustrazione conseguente all’infertilità, se non viene elaborato, può trasformare il desiderio in rivendicazione di qualcosa che non si può avere. La ‘produzione del bambino’ può diventare un risarcimento: il figlio a tutti i costi, costi quel costi. Così l’immaginario della donna viene proiettato sulla medicalizzazione e non c’è più spazio mentale per il figlio. L’attesa- continua Di Renzo- è occupata dall’idea del possesso di un figlio. Bisogna evitare che il diritto di tutti non escluda poi il diritto del bambino ad avere un’infanzia”.

LA PSICOPATOLOGIA DEL CONCEPIMENTO

Le ultime ricerche nell’ambito della Psicopatologia del concepimento “hanno evidenziato un atteggiamento di depressione – che era la depressione post partum – dopo questi percorsi così faticosi. Un aspetto che incide profondamente nella relazione che viene instaurata con il bambino, incide sulle sintonizzazioni. Ecco che il bambino, quando arriva, trova spesso i genitori, e soprattutto la madre, distrutti da un percorso ossessivo che li ha sfiancati sia fisicamente che psichicamente. Sono genitori che non hanno potuto avere l’adeguata fantasia e capacità di immaginare un bambino, avendo vissuto la gravidanza sotto il terrore medico del ‘viene o non viene’, come prodotto e non come bambino da immaginare e desiderare. Spesso questi genitori- ricorda la psicoanalista- non sono pronti da un punto di vista psichico ad accogliere il bambino che nasce”.

In Italia è presente una certa quantità di bambini nati da donazione di sperma che non hanno un padre né biologico né sociale. “Cosa dobbiamo dire al bambino sul padre? Queste mamme arrivano impreparate- risponde Di Renzo- non hanno neanche pensato a cosa poter dire, essendo impegnate sul prodotto. Tuttavia c’è un altro problema estremamente importante su cui noi psicoanalisti ci stiamo interrogando: va detto al bambino che è nato da una FIVET (fecondazione in vitro con trasferimento dell’embrione), da un’ICSI (FIVET con iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi), che l’ovocita non è della madre? Da sempre le nostre teorie ci hanno insegnato che i segreti sono lesivi allo sviluppo del bambino. Possono determinare problemi intellettivi, delle fratture anche di tipo psicotico. Oggi però dobbiamo eticamente porci questa domanda, anche se non c’è ancora una risposta definitiva. Provvisoriamente sento di poter dire- rassicura la psicanalista- che possiamo non raccontare tutta la storia al bambino a patto che i genitori ci lavorino per elaborarlo ed entrare in una dimensione materna o paterna che sia”.

Il non grande successo della Pma “dipende dall’età, dall’eccesso di stimolazione, ma fondamentalmente dipende anche da una dimensione psichica. L’annidamento di un embrione che si sa oggi essere del 3% di tutta la casistica- precisa Di Renzo- è un dato spiegato organicamente dal momento che le sostanze somministrate nelle stimolazioni ovariche non ne facilitano l’annidamento. Vorrei insistere, infine, che l’annidamento è fondamentalmente un atto anche psichico. Dobbiamo proporre nuove riflessioni per consentire a queste donne- conclude- di trovare nuovi modi di raccontare la loro maternità”.

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