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Coronavirus, Kanakassy: “La mia Africa in Cina e il mondo che sarà”

Intervista al fotografo e artista, nato in Senegal e residente a Berlino: "Oggi capiamo la globalizzazione e che siamo tutti uguali"

Pubblicato:31-03-2020 08:32
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:03

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ROMA – “Il Covid-19 ci fa capire, finalmente, in modo molto concreto, cosa significa ‘globalizzazione‘; che siamo, insomma, tutti parte dello stesso mondo”. Parla così Mansour Ciss Kanakassy, fotografo e artista, nato in Senegal e residente a Berlino, panafricanista e conoscitore della Cina.

L’intervista con l’agenzia Dire corre sul web, dalla Germania all’Italia. Nella capitale tedesca, al centro in questi giorni di un dibattito sull’Europa e la solidarietà che c’è o ci dovrebbe essere, Kanakassy è tornato alcune settimane fa. Lui, nato a Dakar, è un cittadino del mondo e trova naturale rovesciare prospettive.

A inizio anno le sue fotografie sono state in mostra in Mali, alla Biennale des rencontres photographique de Bamako, una rassegna di riferimento in Africa e non solo. I suoi scatti sono intitolati “Chocolate City”, la città cioccolato. Raccontano di una globalizzazione che il Covid-19 ha travolto ma che è destinata a sopravvivere alla pandemia, magari con consapevolezze e prese di coscienza nuove.


“Chocolate City” è una città africana in Cina. Almeno 20mila commercianti che ogni anno vanno e vengono, facendo la spola tra due continenti. E poi c’è chi ha messo radici, almeno 200mila persone: vivono alle porte di Guangzhou, la Canton dei portoghesi. “’Chocolate City’ misura 1.023 metri in lunghezza e 32,6 in larghezza” calcola Kanakassy, che parla di mondo globalizzato e dice di rivolgersi anzitutto ai giovani africani. “In Cina vado regolarmente dal 2012: volevo capire come funzionasse questa società e come abbia saputo proteggersi dagli occidentali, che negano qualsiasi cultura non sia la loro”.

“Chocolate City”, lungo la strada di Xiaobei, è sorta in un’area da secoli abitata in maggioranza da musulmani. Attorno alla moschea sono diventati di casa marocchini e nigeriani, senegalesi ed etiopi, commercianti di vestiti, ristoratori o rivenditori di elettronica. Secondo Kanakassy, “negli ultimi dieci anni hanno investito non solo in Cina ma anche in Africa”.
Ma come sono i rapporti con gli abitanti di Guangzhou? “Nei loro confronti – risponde l’artista – i cittadini cinesi hanno atteggiamenti ambivalenti”. Kanakassy ha in cantiere un progetto su “società e globalizzazione” con il quale intende mostrare “storie esemplari”. Dopo le Rencontres de Bamako, andrà avanti con le sue provocazioni da “amministratore delegato” del Laboratoire Deberlinisation (il riferimento è alla Conferenza di Berlino che nel 1884 sancì la spartizione europea dell’Africa). Due proposte, tanto per rendere l’idea: l’”Afro”, la moneta del continente unito contrapposta al franco Cfa e al neo-colonialismo francese; il “Global Pass”, il passaporto globale, segno dei tempi che verranno (dopo le frontiere e il Covid-19).

“Siamo tutti uguali di fronte ai beni vitali” riprende Kanakassy, parlando del mondo che sarà. “Dobbiamo difenderli insieme: la salute, certo, ma anche l’istruzione, la scuola, la pace, la stessa aria che respiriamo…

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