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FOTO | Latte in bottiglie fatte di latte, si può con Splastica

Realizzare bottiglie utilizzando una bioplastica ricavata dagli scarti, anche quelli legati alla produzione e trasformazione del latte: è l'idea di un nascente spin-off dell'Università degli Studi di Roma Tor Vergata

Pubblicato:31-03-2019 13:41
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:18
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ROMA – Bottiglie del latte fatte col latte, perché no? Ad esempio usando una bioplastica ricavata dagli scarti, anche quelli legati alla produzione e trasformazione del latte: questo il centro di un’idea progettuale di un nascente spin-off dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche. Si chiama SPlastica punta a realizzare plastica green da scarti alimentari.

Il progetto si basa sulla produzione di nuovi materiali plastici 100% biodegradabili e compostabili, a base di polimeri naturali, realizzati a partire da scarti alimentari non edibili mediante una sintesi ecosostenibile. Il primo prodotto realizzato si chiama SP-Milk ed è una nuova plastica green prodotta con gli scarti del latte.



Il principale vantaggio della bioplastica di SPlastica è quello di essere ottenuta a partire da materiale di scarto: l’idea, spiegano i ricercatori, è quella di creare una sintesi il più sostenibile possibile sfruttando la parte del latte non edibile, ma anche quello scaduto, per trasformare uno scarto in risorsa in un’ottica di economia circolare.

Tra i vantaggi di SP-Milk c’è il fatto che rispetto ad altre bioplastiche ottenute da materie prime come mais e patate, il latte non è un prodotto stagionale. Inoltre SPlastica non prevede lo sfruttamento di terreni coltivabili e abbatte una voce di costo nel processo produttivo, quello dello smaltimento dei rifiuti. Il costo del materiale di scarto è estremamente basso e ciò di conseguenza permette di avere dei prodotti con costi relativamente bassi.

SP-Milk ha caratteristiche di elevata durezza e stabilità termica in un ampio intervallo di temperature, caratteristiche spesso mancanti nelle bioplastiche attualmente in commercio, è compostabile in soli due mesi, e si scioglie in acqua batteriologicamente impura. La plastica realizzata non contiene plastificanti artificiali e si è inoltre evitato accuratamente l’uso di solventi organici nella reazione.

Allo stato attuale dello sviluppo della tecnologia, SPlastica punta, come primo obiettivo di mercato, a soddisfare le necessità delle aziende agroalimentari, che potranno offrire una confezione ecologica e biodegradabile e abbattere i costi di smaltimento degli scarti. Potranno, inoltre, avvantaggiarsi di un vero proprio percorso di affiancamento che conduca alla sostituzione della plastica tradizionale con la bioplastica.

 


Partner di questa iniziativa è la Ariete Fattoria Latte Sano Spa. SPlastica ha ricevuto il Primo Premio Premio Start Cup Lazio 2018 per la Miglior Idea di Impresa ad alto contenuto tecnologico nata in un Centro di Ricerca del Lazio, un premio speciale per l’imprenditoria femminile alla finale nazionale del Premio Nazionale dell’Innovazione ed il premio come miglior presentazione durante il Roadshow nazionale a Roma di AssoBioTech e Start up Initiative Intesa San Paolo.

Ma oltre agli scarti del latte quali altri materiali di risulta, alimentari o meno, possono essere impiegati nella produzione di SPlastica? “Sicuramente le bucce delle patate. Poi dipende dalla richiesta delle aziende, per cui per ora questo è top secret”, spiega Emanuela Gatto, docente dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche, artefice del progetto. 

 


La sintesi che rende possibile la realizzazione della bioplastica è stata resa sostenibile, in che modo? “Evitando l’uso di solventi organici nella reazione, e di reagenti potenzialmente tossici per la salute e per l’ambiente- spiega Gatto- cerchiamo anche di lavorare in condizioni blande di reazione, al fine  di ottenere un compromesso fra la resa di reazione ed il dispendio  energetico necessario per farla avvenire”.  

Il ruolo del nascente spin-off è anche quello di accompagnare le aziende nel passaggio dall’uso delle plastiche da fossili alla biolastica, come le ‘accompagnate’? “Possiamo innanzitutto realizzare bioplastica cercando di utilizzare gli scarti che l’azienda si trova a dover smaltire- spiega la ricercatrice- inoltre cerchiamo di capire quali sono le macchine che l’azienda ha a disposizione per poter realizzare i prodotti finali, in modo da orientare le caratteristiche della bioplastica verso quel tipo di lavorazione”.


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