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Cancro e fertilità, le storie di Laura e Anna

L'associazione Gemme Dormienti impegnata a diffondere la conoscenza della conservazione del tessuto ovarico prima di cure chemioterapiche

Pubblicato:31-01-2020 17:54
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:55
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https://www.youtube.com/watch?v=5mm5xd1yYM0&feature=youtu.be

ROMA – Laura e’ una giovane trentenne. Dopo mesi di forte stanchezza e difficoltà a respirare, a fine 2015, scopre di avere un linfoma non Hodgkin in stato avanzato. Ha 28 anni, ma “in quel mese e mezzo di ricerche diagnostiche”, la rx al Pronto soccorso che rileva “una massa mediastinica di 12 cm che occludeva le vie respiratorie”, due biopsie e la Tac, nessuno dei medici incontrati le dice in tempo utile che prima delle terapie potrebbe preservare la propria fertilità.

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“Sono qui- chiarisce da subito Laura- per lanciare un appello ai medici: ‘Io avrei avuto tempo, dal 17 novembre quando sono andata al Pronto soccorso al 23 dicembre, quando ho avuto la diagnosi, per crioconservare gli ovociti, se solo qualcuno me lo avesse detto“.

Laura prende informazioni in autonomia da un’amica, va in un centro privato e inizia la stimolazione ovarica per crioconservare gli ovociti. “Ma ho dovuto interromperla, appena iniziata, perchè- racconta- l’ematologo del Gemelli mi disse che non c’era tempo, dovevo iniziare subito le chemio, perchè il linfoma era avanzato”.

Solo dopo le cure, “due anni e mezzo in cui ho vissuto in una bolla” grazie all’incontro con la ginecologa Maria Vita Ciccarone e l’associazione Gemme Dormienti con cui oggi e’ impegnata a dare testimonianza, ha fatto la stimolazione a Milano: “Ma avrei avuto- sottolinea- risultati migliori prima delle cure. C’era infatti stata una riduzione degli ovociti. Nessuno pensa al dopo e gli specialisti devono farlo perchè le pazienti sono concentrate a sopravvivere“.

Laura parla di possibilita’ di scegliere, di non sentirsi mutilati nella facolta’ di scelta di avere un figlio o meno. Questa possibilità che di fatto le è stata negata è diventata “una ferita dentro di me”, spiega. E aggiunge: “Se avessi avuto la tranquillità di aver conservato i miei ovociti mentre mi curavo sarei stata meglio. Sono stata forte, ma avevo questa morte dentro di me in una parte della mia testa che pensava ‘non potrai avere figli’. Quando avevo iniziato la stimolazione avevo una situazione di una ragazza giovane di quasi 28 anni”, ricorda Laura con commozione, parlando anche della solitudine di quei momenti: “Non ne parlavo con nessuno”.

Un appello ai medici più che alle pazienti è quello che Laura tiene a diffondere: “E’ il medico – oncologo, ematologo, medico di famiglia – che deve pensare al ‘dopo’ e la responsabilità è più dalla parte dei professionisti. In medicina oggi siamo molto settorializzati, ma bisognerebbe avere una visione più ampia della persona. Una volta che guarisci anche la speranza di avere un figlio cambia la prospettiva, poi si sceglierà. Le pazienti sono prese dal cercare il nome della loro malattia e dalle cure. In quei momenti si è frastornati, non si sa se si vivrà”.

Laura oggi fa “controlli ogni sei mesi al Gemelli, e sto bene- dice- e questo mi dà la forza per aiutare chi sta intraprendendo questo percorso”.

Gemme dormienti promuove informazione su questo tema e domani all’Aquila alle 16 al ‘Centro Direzionale Strinella 88’ inaugura una nuova sede, dopo quella romana. Laura oggi e’ tornata alla normalità, a fare la sua professione di odontoiatra, ad impegnarsi con l’associazione per altre che stanno vivendo quello che ha vissuto lei. Nella sua vita è tornata la speranza, arriverà un amore o una storia chissà, e c’è il sogno di un figlio, la libertà di poterlo scegliere, che arrivi naturalmente o dagli ovociti crioconservati. “Ne basta uno”, dice con un sorriso.

STORIA DI ANNA, MAMMA DOPO IL CANCRO: HO CONSERVATO TESSUTO OVARICO

Anna (nome di fantasia, ndr) ha 32 anni, e’ un medico e lavora in un ospedale della Basilicata. E’ mamma di un bambino di quasi 4 anni e di una bimba di 7 mesi. Proprio quando dà alla luce il primo figlio, a dieci giorni dal parto, inizia a stare molto male e scopre dopo una serie di accertamenti medici di avere il “linfoma di Hodgkin, IV stadio B, molto avanzato”.

Nel momento di massima gioia della vita per lei, che aveva sempre desiderato essere madre e avere una famiglia numerosa, arriva questa terribile diagnosi. Per DireDonne ha ripercorso la sua storia di mamma dopo il cancro e ha spiegato come abbia agito per preservare la propria fertilita’, grazie all’incontro con l’associazione Gemme Dormienti e con la ginecologa Maria Vita Ciccarone che l’ha messa sulla strada giusta.

“La dottoressa è stata meravigliosa- ha detto Anna, ricordando quei momenti in cui pur impegnata ad affrontare le terapie, agli ematologi chiedeva come fare per essere sicura di poter avere un altro figlio, temendo che le terapie compromettessero la sua fertilita’- mi ha mandato a Bologna, all’ospedale Sant’Orsola dalla dottoressa Fabbri e ho fatto la conservazione del tessuto ovarico. Io ero post partum, non avevo ciclo e non potevo fare la conservazione degli ovociti. Sono stata ricoverata 3 giorni, il tessuto si preleva in laparoscopia e lo congelano nella banca dell’ospedale. Ogni anno mando il rinnovo e per tutto questo non ho pagato nulla. Ho un ‘tesorino conservato’ come ha sempre detto la dottoressa Ciccarone”.

Quella di Anna e’ una storia di forte motivazione e di speranza. “Un ematologo- ha ricordato- mi aveva detto che non avrei potuto avere figli perchè avevo avuto un linfoma in gravidanza. Tante donne per paura rinunciano ed è sbagliato“.

Per questo ha scelto di testimoniare, di raccontare la propria storia per poter dare il supporto che lei stessa ha ricevuto dal “gruppo whatsapp delle linfoamiche o – come ricorda ancora con emozione – la chiacchierata con quella ragazza che era uscita dal linfoma da 10 anni, una ragazza di Latina, che mi ha dato speranza. Non ero speciale, ero come le altre e ce l’avrei fatta”.

La scoperta del tumore per Anna e’ devastante perche’ arriva quando ha da poco partorito e pur essendo medico lo stress post partum confonde alcuni sintomi. “Dopo 10 giorni dal parto ho iniziato a sentirmi stanca, tanto stanca. Non riuscivo a fare nulla, quasi a non sentire il bambino che piangeva, tutte le notti avevo febbre alta con sudorazione profusa. Bagnavo lenzuola, pigiama ero in allattamento e mi dicevano che era normale. Si era aggiunta una tosse e pensavo ad una polmonite. Avevo un fortissimo calo di peso. Lavoravo al Campus Biomedico di Roma, sono un medico”, ma era il primo figlio e Anna cercava di capire se questo fosse dovuto al parto, se questo accadesse a tutte le neo mamme.

“Il giorno in cui il piccolo Matteo (nome di fantasia, ndr) compiva 2 mesi, vengo ricoverata d’urgenza. Arriva la terribile diagnosi”. Anna non riesce a vedere il bambino, non vuole vederlo, piomba in un “black out generale. Non ricordavo nulla. Ero convinta che sarei morta, ero depressa e rifiutavo il bambino per non farlo affezionare. Non riuscivo a starci”.

Probabilmente il cancro era gia’ presente durante la gravidanza “avevo avuto fenomeni allergici, rash cutanei, assumevo cortisone e la gravidanza mi aveva dato benessere”. Inizia “le chemioterapie, ben 12, alla Sapienza, e non ho perso capelli perche’ ho usato la cuffia fredda. Non ho avuto tossicità midollare, ma ho avuto quella polmonare. Le cure le ho affrontate- ha spiegato- dal 28 luglio 2016 all’11 gennaio del 2017. Mio marito e’ stato meraviglioso, lavorava in azienda e l’hanno aiutato. Ho avuto suoceri vicini, i miei genitori erano purtroppo lontani, zii, amici: una rete di persone che mi cucinavano, stavano con il bambino”.

Poi dopo 2 anni, “la Pet negativa” e l’ok dei medici Anna inizia ad accarezzare il sogno del secondo figlio, pensando sempre di avere quel tesorino conservato: un paracadute per le ovaie che le terapie avrebbero potuto danneggiare.

Dopo le cure, “ricomincio a vivere quando Matteo ha circa 9 mesi. Successivamente ho scoperto di essere incinta per la seconda volta, e in maniera ‘naturale’“. E’ il novembre 2018. “Ho lavorato fino all’ultimo mese e mi sono anche specializzata. E’ nata quindi la piccola Gioia (nome di fantasia, ndr)”.

Subito dopo il parto Anna torna con la mente a quei momenti di paura e alla scoperta della malattia: “Avevo paura di tornare a casa, che succedesse di nuovo tutto. Ho avuto una febbre di notte per influenza e sono diventata pazza- ha ricordato- e pur essendo medico ho chiesto di spiegarmi bene cosa fosse un post partum, cosa dovessi aspettarmi” per affrontare tutto senza angoscia.

“E’ vero che quando ci si ammala avere figli è l’ultimo dei pensieri. Ci si concentra sulla guarigione, ma il dopo è problematico se- ha detto Anna- queste donne non sono ben indirizzate. Quando finisce la malattia e tutto va bene un figlio è rinascere a vita nuova. Io mi sono detta: ‘perchè questo linfoma mi deve bloccare questo desiderio così grande?'”.

Oggi Anna segue un follow up a sei mesi: “Ho ancora momenti di angoscia, ma mi sono fatta aiutare dalla psiconcologa e mi piacerebbe avere un terzo figlio. Oggi sono felice, e con la mia testimonianza vorrei dare aiuto e speranza, quella che io stessa ho ricevuto da tante altre linfoamiche. Ci chiamiamo cosi'”.

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